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Channel: Sviatoslav Richter Blog
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Postale "Richteriana 2015"

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Postale "richteriana" 2015
 
•••Ucraìna~Russia•••
 
 
 
 


Michail Afanas'evič Bulgakov Cit.: Col terrore non si ottiene nulla da nessun animale qualunque sia il suo grado di sviluppo. L'ho sempre affermato, lo affermo e lo affermerò sempre. È inutile credere di poter fare qualcosa con il terrore. "Cuore di cane"1925



 

8 Fotografie

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 Il Blog per il centenario della nascita di Sviatoslav Richter

Particolari delle mani
 
8  F o t o g r a f i e
 





Fotografie da varie fonti, tra cui ,TACC, RIA, KONDA a cui vanno i diritti © Ad uso personale

 
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Mosca, Concerto a chiusura del Concorso per pianoforte: durante il Primo Concerto di Cajkovskij. 1945
 
Nina e Slava
 

In Giappone (1970•'74): con partic. della mano sin. e autografo
 

In Giappone (1970•'74)
 
A casa
 
Al Conservatorio di Mosca, anni '70

In duo con Rostropovic, anni '50
 

12 Aprile 1888, Omaggio all'amato Maestro

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Il Blog in omaggio all'amato Maestro di Richter, Neuhaus


H.N., nato il 12 Aprile 1888 ad Elisavetgrad


Omaggio a Neuhaus
 


Il Maestro col giovane Richter
Quante persone erano innamorate di lui... E quanti pretendevano l'esclusività del proprio sentimento nei suoi riguardi...Lo amavano, lo comprendevano e non lo comprendevano come capita alle persone elette. Un caso fortunato mi ha fatto diventare suo allievo. Così il destino mi ha regalato un secondo padre. Però appena provo a parlare di Heinrich Neuhaus, mi viene immediatamente il dispiacere e la paura di distruggere con le parole il fascino della sua immagine, fuggevolmente stupenda e a me tanto cara. 1]
 
SVIATOSLAV RICHTER
•••

  Spesso, ascoltando la sua musica (di Richter), mi ricordo la citazione dalla Annunciazione di Aleksandr Blok:Profani procul ite, hic amoris locus sacer est.1]

HEINRICH NEUHAUS
 


 
 1. Cit. H.Neuhaus: Riflessioni, memorie, diari, a cura di Valerij Voskobojnikov. Sellerio 2002
A.Blok, Annunciazione - Blagovelc'enie

"Dall'infanzia, sogni e visioni la dolce oscurità dell'Umbria. Sulle siepi avvampano le rose, cantano sottili le campane"
Spoleto, maggio 1909 (Estr.)


 
Il giovane Harry con i genitori

In classe con Neuhaus (vicino a Neuhaus, dietro, il primo da sinistra)
...anni dopo...

Intervista a Bruno Monsaingeon di Evgenja Krivistaja

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 Il Blog per il centenario della nascita di Sviatoslav Richter

- Intervista a Bruno Monsaingeon -
"Il Centenario è una convenzione"


di Evgenja Krivistkaja (link)

Come celebrare il giubileo di Sviatoslav Richter ? Per non cadere nelle solite banalità, che tanto impaurivano questo artista, proviamo a capire in cosa consiste la sua superiore personalità, talmente affascinante per taluni, ma respingente per altri. Con questi pensieri, io Evgenja Krivistkaja, scendevo le tortuose scale per accedere ai sotterranei della Sala Grande del Conservatorio, dove attualmente “soggiorna” l’archivio del Conservatorio di Mosca. Lì, il fascicolo personale dello studente Richter conteneva solo tre fogli che fissavano ufficialmente:
la data di ingresso con l’iscrizione nel 1937; all’esame lui eseguì il Preludio e Fuga in Mi bemolle maggiore di Bach, la Sonata nr.28 di Beethoven, la Quarta Ballata di Chopin,
  il secondo foglio sanciva l’espulsione dal collettivo degli studenti il 18 agosto 1943, perché non aveva compiuto il piano degli studi,
  il terzo foglio la riammissione al quinto anno nell’ottobre 1945.

La referenza lo raccomandava come “un candidato indubbio per studiare all’aspirantorato, in quanto pianista e musicista eccezionalmente dotato, che ha ottenuto, ancora da studente, larga popolarità e riconoscimenti da parte della società musicale sovietica”.

Insomma in questo archivio non ho trovato alcuna sensazione né alcuna rarità, e sulla base di questo materiale non si poteva costruire granchè in onore del suo centenario. In quel momento si aprì la porta della stanza ed entrò un uomo con un cappotto scuro dicendo “Dove potrei comprare dei dischi di Richter?” e mi è sembrata una coincidenza incredibile. “Mi chiamo Bruno Monsaingeon” si è presentato lo sconosciuto, e qualche ora dopo stavamo già conversando con il noto regista francese, autore dei celebri documentari su Gould, Oistrakh, Roszdentsvenskij, Menuhin, e naturalmente Richter.

Domanda: Bruno, come celebrerà lei il centesimo anniversario della nascita del suo protagonista?

Helsinki: 21 giugno 1986.Fonte:  Ebay R.Cohen copyright. 
Risposta: Il centenario è una convenzione. Ma è un buon motivo per pubblicare le sue registrazioni, in modo che le nuove generazioni che non hanno avuto contatto diretto con Richter, che non lo hanno ascoltato in concerto, si possano avvicinare alla sua arte. Nel caso di Richter c’è un problema: pubblicare tutto ciò che lui ha registrato è un lavoro gigantesco. Attualmente sto cercando di raccogliere per la ditta Warner-Erato per il centenario di Menuhin, che sarà fra un anno, tutto quello che lui ha registrato per la EMI, e adesso ho tante di quelle registrazioni che, secondo un calcolo, possono costituire ben 160 cd con 70 minuti di musica ciascuno. E’ una eredità enorme. Con Richter è molto più complesso, perché lui ha registrato in URSS per la Melodia, in Occidente con Decca, EMI, Deutsche Gramophon [1], e inoltre esiste una grande quantità di registrazioni di origine piratesca; questo perché lui aveva dei pregiudizi ed era contrario alle registrazioni in studio e quindi molti lo registravano in modo amatoriale direttamente dai concerti. Le registrazioni finora sconosciute nascono come i funghi dopo la pioggia: c’è una collezione enorme a Kiev, i suoi concerti alla Carnegie Hall [2], a Parigi nella Salle Pleyel, a Londra nella serie BBC Legends: raccogliere tutto questo è un compito probabilmente impossibile. Certo avere 15 o 20 registrazioni dell’Appassionata di Beethoven nell’esecuzione di Richter a Pechino, Kiev, Parigi, New York, in Cile, a Mosca sarebbe molto interessante, ma credo che lui stesso sarebbe contrario a un tale eccesso.

D: Quali sono i criteri della scelta?

R: Per ora non posso dirlo, perché questo comporta una grande responsabilità, in quanto se rifiuti qualcosa nasce l’idea che tu vai contro Richter, eppure vorrei fare una grande raccolta con le registrazioni più interessanti, soprattutto quelle che non sono mai state pubblicate. Sto cercando attualmente il Concerto per la mano sinistra di Ravel, perché lui lo suonava abbastanza spesso e c’è stato un caso a Parigi quando lui lo ha eseguito addirittura due volte durante la stessa serata: non era contento della sua esecuzione e lo ripetè per intero come bis [3]. C’è un progetto: nel mese di ottobre pubblicare in una raccolta i miei film russi su Gennadij Roszdentsvenskij, sul tennista Andreij Chesnokov e su Sviatoslav Richter. E in qualità di bonus vorrei aggiungere alcune registrazioni di alcuni suoi concerti, come per esempio il Concerto di Dvorak a Praga, il Concerto nr.9 K 271 di Mozart con Lorin Maazel e l’Orchestra nazionale di Francia, la quale, mi sembra, non fosse all’altezza, ma in cui Richter suonava come un angelo.

D: Quali rarità aspettano ancora di uscire?

R: Nel 1986 Richter arrivò a Mantova dove rimase per sei settimane. Hanno messo a sua disposizione il Teatro Bibiena, e lui suonava ciò che voleva e quando voleva. Di solito, alle quattro del pomeriggio, i vigili[4]  giravano per la città con gli altoparlanti e annunciavano “Richter oggi suona”. In sei settimane ha suonato dieci programmi diversi. E’ stato assistito dalla Decca che aveva il progetto di effettuare la registrazione audio di questi concerti, ma uno dei collaboratori ha messo anche una videocamera, non molto professionale, ma di qualità decente. Una sola camera, una immagine fissa, però abbiamo un documento video: sono registrati il concerto di Beethoven, il programma di Schumann e le quattro Ballate di Chopin. Poco a poco ho utilizzato queste immagini nel film “Richter L’insoumis”: ho messo il finale della Quarta Ballata, il finale dello Studio in mi minore di Chopin. Ma è rimasto ancora tanto materiale. Siccome lui non era rimasto contento di come era andato il concerto con il programma di Schumann, e all’indomani aveva deciso di registrare tutto, io ho una registrazione video della durata di un’ora di come lui provava ripetendo alcuni passi. Gli cadevano gli spartiti e lui scambiava qualche parola con il suo produttore. Penso che siano delle riprese con un contenuto interessante. Certo si può chiudere un occhio sulla qualità del video perché non c’è una luce speciale, la ripresa è statica, ma mi sembra che può essere interessante non solo per i fanatici di Richter ma per tutti coloro che possono essere interessati a come lavorava questo artista, dedito alla musica in modo incredibile. Di fatto tutto il suo repertorio risulta registrato in modo professionale o amatoriale, almeno una volta. Purtroppo ci sono delle eccezioni. Nel 1934 lui ha eseguito nel Consolato germanico la Marcia funebre dalla Caduta degli Dei e di questa penso che non esista la registrazione, ma di recente ho trovato persino Erlkonig di Schubert-Liszt che lui ha suonato nel 1948. Sarebbe magnifico se si riuscisse a pubblicare questa rarità con un libretto illustrato; ma progetti simili nei nostri tempi difficilmente trovano possibilità di realizzazione.

D: Di Richter hanno pubblicato memorie, in anni diversi, numerose persone che facevano parte del suo ambiente. Lei si è interessato a queste fonti?

R: Sì, conosco i libri della Valentina Čemberdzij, ho letto un magnifico libro del regista Juri Borissov, Du  côtés de chez Richter, e questo è un po’ difficile chiamarlo libro, perché è un poutpourri senza struttura ma che mantiene un Richter autentico, spontaneo, molto diretto. Lo lessi con molto entusiasmo e pensavo che tradurlo in francese sarebbe stato impossibile, perché la lingua russa è molto colorita; ma due anni dopo ho ricevuto una lettera da una certa Madame Janine Lévy che mi chiedeva di controllare la sua traduzione in francese del libro: c’erano degli errori che riguardano la terminologia musicale, ma lei era riuscita magnificamente a trasmettere lo stile, la bellezza e la varietà dell’originale. Ho impiegato molto tempo per trovare un editore però alla fine si è riusciti a pubblicare questo libro in Francia con la mia prefazione.

D: Lei dice un Richter autentico, ma è quello che lei ha conosciuto in Francia?

R: Anche meglio. Noi ci conoscevamo da molti anni, ma solo negli ultimi anni della sua vita ci siamo frequentati di più lavorando sul film. Qui, in questo libro, lui è più giovane, si esprime liberamente, senza alcuna censura. Quando ci frequentavamo io capivo che era un uomo con una enorme fantasia, ma era compresso dalle persone che lo frequentavano. Racconto questo episodio. Negli ultimi sei mesi, Richter abitava ad Antibes nell’appartamento di mio padre e mentre stavamo preparando le riprese, io lo andavo a trovare ogni giorno. Una volta Milena Borromeo, la sua produttrice[5], mi chiese di aiutarla a ottenere da Richter due parole su Arturo Benedetti Michelangeli per una rivista italiana, perché a tutte le sue domande su com’era questo pianista rispondeva “Buono” e basta. Io l’ho tranquillizzata dicendole che avrei trovato nei suoi diari qualche espressione perché sapevo che c’era qualche paragrafo dedicato a Michelangeli. Di notte trovai questi frammenti e l’indomani andai a fare visita a Richter, con lui c’erano Nina e Milena. Ho letto quello che avevo scelto, ad esempio: “Totale perfezione tecnica. Tutto lascia freddi… Schubert mi è piaciuto. Riproduzione del testo molto precisa. Debussy mi è piaciuto. Nulla da eccepire. Nessuna impressione… Ravel. Come Debussy. Un concerto magnifico. L’amore per la musica non l’ho trovato.” Insomma lui ha espresso la sua opinione critica su Michelangeli ma con modi molto raffinati. Quando Nina sentì questo, gli disse: “Ma come può lei scrivere cose così orribili!”. Allora io in difesa del maestro ho risposto: “Ma perché ? Se lui ritiene che è così…” e Richter, sentendo l’appoggio da parte mia disse: “Sì, sì, questo sono io, sono le mie parole”. Ma lui allora non aveva la forza di difendere la propria indipendenza di giudizio. La stessa cosa è successa anche nel mio film, quando il maestro dice: “Ma certo, Šostakovich era pazzo, e anch’io volevo essere pazzo, ma io sono una persona assolutamente normale”. Dopo la morte di Richter, ho fatto vedere l’ultimo montaggio a Nina che ha protestato: “Bruno, ma lei non può lasciare queste parole su Šostakovich, e io ho risposto: “Nina, scusi, ma io ho fatto vedere a Slava questo episodio, era la vigilia della vostra partenza per Mosca e lui ha detto: “Questo sono io”; e dunque rispettiamo la sua opinione”. Ed io ho lasciato questo episodio. E se dobbiamo parlare di Richter stesso, certo che era un pazzo, nel senso che non era come gli altri, era una persona non ordinaria. E invece Gulda, del quale tutti dicevano che era un pazzo, io lo ritengo la persona più ragionevole tra tutti i musicisti che ho conosciuto, era molto consequenziale nei suoi ragionamenti e sapeva perché faceva quello che faceva e che cosa voleva.

D: In Russia Richter era talmente idolatrato che divenne quasi  un’icona, un idolo. Però l’universalismo nell’arte è una cosa molto relativa. In che misura lei è critico verso l’arte di questo musicista?

R: Le rispondo così. Il livello delle esecuzioni di Richter era sempre all’altezza. Io ammiravo il modo onesto e preciso in cui eseguiva qualsiasi tipo di musica. Per esempio Mozart, il suo Mozart, senza esplosioni del temperamento, puro e preciso. E anche quando appare la sensazione di una certa noia, io comunque mi tolgo il cappello perché nella sua esecuzione è sempre presente lo stile, l’eleganza, e una totale e sincera dedizione alla musica che lui esegue. In questo senso io non conosco brutte registrazioni di Richter. Certamente vi sono quelle in cui si incontrano note sbagliate e forse non valeva la pena di pubblicarle, soprattutto se esistono altre versioni della stessa opera. Lui era molto sensibile nei confronti dell’ambiente e nei confronti di se stesso. E’ successo un momento drammatico durante i concerti a Mantova, quando lui si è fermato durante l’esecuzione delle Variazioni su un tema di Paganini di Brahms. E dopo mi ha spiegato: “Faceva così caldo, 35 gradi…” Il video ha registrato quando lui si è sentito male, si è fermato, si è alzato, è uscito. Evidentemente poi ha guardato lo spartito, è tornato e ha ripreso a suonare fino alla fine. Oppure ha sentito che suonava il Concerto per la mano sinistra di Ravel, come diceva lui “come un calzolaio”, e immediatamente lo ha ripetuto. E la ripetizione del suo bis era buona. Penso che adesso la distanza è ancora troppo vicina: sono cento anni dalla sua nascita, ma ci ha lasciato solo 17 anni fa, quindi bisogna fare una scelta molto intelligente e non pubblicare tutto indiscriminatamente.

D: Il nome di Richter, finora, è conosciuto in Occidente?

R: Indubbiamente, e ciò non dipende dai gusti; ci sono alcuni pianisti molto conosciuti attualmente, che sono ritenuti le figure più importanti della seconda metà del XX secolo come Richter, Gould, Horowitz e negozi che vendono compact disc – in Francia c’è una rete che si chiama FNAC – e nella sezione della musica classica ci sono dei reparti dedicati a Richter, Gould, ma anche Menuhin, Oistrakh tra i violinisti; questi artisti hanno già attraversato il filtro del tempo.

D: Lei come ha affrontato la morte di Richter ?

R: Noi siamo stati insieme fino al 30 giugno 1997. Quel giorno gli ho fatto vedere la prima versione del montaggio del film. Poi siamo tornati in albergo e abbiamo conversato fino quasi alle quattro del mattino. Lui era affascinante, mi disse: “Venga, venga, io capisco che dobbiamo ancora aggiungere alcune cose”. Ed io ho chiesto se avremmo potuto girare apertamente con più di una camera e lui ha risposto che non c’era problema. Alla domanda se avremmo potuto venirlo a trovare la settimana seguente, lui rispose che sarebbe stato troppo presto: “Sarò ancora in un brutto stato, dovrò arrivare in aereo fino a Mosca e lei sa come io mal sopporto gli aerei.” “E allora, alla fine di agosto?” Lui rispose: “Troppo tardi”. Ho reagito immediatamente a queste parole, pensando il peggio, perché lui effettivamente si sentiva molto male, ma lui ha notato questa mia reazione, ha sorriso e ha precisato: “Potrebbero esserci dei concerti”. E allora io ho proposto l’inizio di agosto. Dopo la loro partenza per Mosca ho telefonato ogni giorno, parlando con Nina e lei mi raccontava che lui era di buon umore, che studiava e che mi stava aspettando. Poi all’improvviso telefonò Galina Pisarenko, dicendo che Richter era in ospedale e che doveva rinunciare alle nostre riprese. Con molta vergogna devo riconoscere che all’epoca io reagii malamente: “Eh, no è troppo; adesso lui supera tutti i limiti. Perché quando mi annullava le riprese a Parigi, non c’erano problemi, tutti quanti ci trovavamo nella stessa città, qui invece i produttori avevano fatto un lavoro enorme per organizzare le persone, le apparecchiature, fare i visti ecc. e tutto andava in fumo per un suo improvviso capriccio”. Ho preso la bicicletta e sono andato in ufficio per avvisare del problema che era sorto. “Sembra che Richter sia in ospedale.” Io non credevo che fosse vero, perché in tutto questo tempo si diceva che lui stava in buona forma. Il mio produttore, Hélène Le Coeur, mi ha rimproverato: “Bruno, perché parli così ?” Invece due ore dopo ha chiamato di nuovo Galina Pisarenko per dire che Richter era morto. Provai uno choc enorme, anche se non posso dire che tutto ciò fosse accaduto all’improvviso. Ripeto che Richter, negli ultimi mesi, era in uno stato terribile. Quando noi alla vigilia della sua partenza siamo andati al ristorante abbiamo ordinato dello champagne, e ho notato che lui, nonostante la sua ottima disposizione di spirito, respirava a fatica. Lui non voleva andar via da Parigi; lì c’erano i medici che lo sostenevano. Penso che lui fosse cosciente che se fosse andato in Russia sarebbe morto. Durante i due anni dei nostri incontri quasi giornalieri, ci siamo molto avvicinati, e quindi prima di tutto io soffrivo per la perdita di una persona molto amata, e poi per la perdita del musicista. Ma come artista egli ha completato il suo percorso, lasciando un’eredità gigantesca e anche se avesse dato ancora qualche concerto non penso che sarebbero stati i più importanti della sua vita. In quel momento ho deciso subito di dedicare tutto il mio tempo per completare il film su Richter e dopo ho pubblicato il libro con le conversazioni e i diari con grande gioia perché capivo di essere un eletto: Richter mi aveva scelto come suo biografo, si è fidato di me, e comunicare con lui per me è stata una grande felicità.



Traduzione di Valerij Voskobojnikov

Editing e note di Giorgio Ceccarelli Paxton

[1] A gennaio 2015 la Universal ha pubblicato il cofanetto di 51 cd “Complete Decca, Philips & DG recordings

[2] A gennaio 2015 la Sony ha pubblicato il cofanetto di 18 cd “The complete album collection” contenente oltre ai concerti alla Carnegie Hall anche gli altri dischi usciti nel corso degli anni per la RCA
[3] Il riferimento è al concerto di Parigi del 5 marzo 1969, direttore Lorin Maazel. Richter ripetè come bis lo stesso brano a Genova il 14 giugno 1969 (direttore Riccardo Muti), ma in quella occasione non si trattò di insoddisfazione verso la prima esecuzione; prese semplicemente la decisione di rieseguire l’intero brano come bis (cfr. B.Monsaingeon – Sviatoslav Richter – Notebooks and conversations– pag. 335 – ediz. inglese Faber & Faber 2001)
[4] Traduzione letterale. In realtà saranno stati annunci trasmessi con altoparlanti da automobili pubblicitarie che giravano la città, ma ciò non toglie nulla alla singolarità, alla curiosità e, perché no, alla simpatia della situazione.
[5] Traduzione letterale. In realtà Milena Borromeo è stata l’assistente personale di Richter a 360 gradi, provvedendo con amorevole cura a tutto ciò che riguardava il Maestro sia come artista sia come persona.


REVISIONE 14 APRILE 2015

La Rusalka, Lermontov (poesia)

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 Il Blog per il centenario della nascita di Sviatoslav Richter

Michail Jur’evič Lermontov


La Rusalka
Michail Jur’evič Lermontov, Quaranta poesie, traduzione e cura di Roberto Michilli, ed. Galaad, 2014, p.246


Una rusalka nuotava nel fiume azzurro,
irradiata dalla luna piena;
e cercava di schizzare la luna
dell’argentea schiuma dell’onda.

Traduzione italiana di Roberto Michilli

L.Baldecchi Arcuri: trailer ita. de "Il comune denominatore"

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Anteprima italiana

◆◆◆◆◆◆◆◆◆◆◆◆◆◆◆
Il blog ospita...

LIDIA ARCURI BALDECCHI
  

IL COMUNE DENOMINATORE


Avviso: molte immagini - per ragioni tecniche - sono state omesse. C.G.





Ringrazio i miei stupendi genitori per avermi donato il Soffio della Vita.
Ringrazio il Dono della Musica che mi ha guidato attraverso il  suo labirinto.
Ringrazio i grandi musicisti che mi hanno onorato della loro Amicizia, aprendomi sempre nuovi orizzonti.
Ringrazio tutti i miei allievi che, con le loro innumerevoli Verità, hanno continuato a riportarmi costantemente a chiedere a me stessa: Perché? Potrebbe essere? Come?
Ringrazio tutti coloro che mi hanno incoraggiato ed aiutato.
A loro dedico.
L. B. A.








Prefazione del Coordinatore

Andai da Lei a fare un’audizione, era il marzo del 1990. Provenivo da anni di studio con colei che era stata anche la sua maestra. Una disciplina severissima, che sicuramente ha formato il mio carattere e la mia forza di volontà, ma divenuta, col tempo un elemento di inibizione. Lidia, al contrario, mi incoraggiava e rispondeva prima che avessi il tempo di chiedere.

So che queste parole possono suonare “dissonanti” a chi non ha vissuto in prima persona l’esperienza di cui parlo, ma credo anche che molti sappiano cosa significa avere una simile guida. Ritengo sia un privilegio e come tale vada comunicato.

Abbiamo studiato e lavorato per anni insieme, fondato un’associazione nella quale sono stati organizzati concerti, incontri di guida all’ascolto, corsi, masterclass e si sono prodotti persino spettacoli originali con la collaborazione dl illustri musicisti. Ho raccolto e annotato appunti su ogni sua parola.

Forse la necessità di fare ordine, forse la consapevolezza che niente è fisso ma tutto è in continua trasformazione, forse, più onestamente, un mio bisogno di crescita interiore, mi hanno stimolato a lanciare l’ennesima sfida... un libro.

C’è voluto molto tempo affinché Lidia vincesse le sue remore e accettasse di lavorare a questo libro. La capisco: non è facile fissare per iscritto ciò che per  natura è in continua evoluzione. La fermezza della parola scritta ne limita il significato. Finalmente decidemmo di adottare la “forma dialogo”.

Se chiedete a un Maestro Zen che cosa sia lo Zen, Lui non vi risponderà. Ugualmente, accade per la Musica. E' un ’arte e una disciplina tramandabile di Maestro in allievo, questa è l’unica via.

 Dopo anni di lavoro e di insegnamento, sono sorte altre domande.

E’ stato, ed è, come percorrere un sentiero infinito. Avendo oggi nuove domande e nuove curiosità, spero di poter continuare a passeggiare lungo questo sentiero in compagnia di Lidia.

Marina Remaggi



Prefazione della Traduttrice



Ricordo con precisione quel giorno del 1987 in cui Lidia diventò mia insegnante. Avvertii immediatamente di essere nel posto giusto. Le sue lezioni, senza eccezioni, erano illuminanti, emozionanti ed entusiasmanti.

Perciò quando alcuni mesi fa mi chiese di tradurre in inglese il suo libro  ”Il Comune Denominatore”, mi contagiò con il suo entusiasmo e fui onorata di accettare l’incarico.

La traduzione di un tal libro richiede una stretta collaborazione e, ci incontrammo diverse volte per accordarci.

A mio avviso questo libro fa da cornice e riassunto al grande lascito che Lidia ha già trasmesso a generazioni di allievi

Prof. Gillian Gibson

.
Edinburgo, 1° novembre, 2014
.



Gillian Gibson si è laureata con lode in Letteratura e Lingua Inglese all’Università di Edinburgo ed ha conseguito il Diploma di pianoforte alla London Royal Accademy of Music.
Ha vissuto in Italia per vent’anni svolgendo la professione di insegnante della lingua inglese per varie istituzioni fra cui le Università di Torino e di Genova. Inoltre è stata richiesta come traduttrice di numerose pubblicazioni.
In Milano ha insegnato il suo strumento in un’istituzione pubblica.
Attualmente vive ad Edimburgo dove è altamente riconosciuta come insegnante, solista ed accompagnatrice di pianoforte.

Indice

Il Visibile e l’invisibile
              “...la sostenibile  leggerezza”                                        p. 1                 
                  Bottega, Anima, Libertà                                                 p. 3
                  Bellezza, Verità                                                                p. 7
                  Sempre in bilico                                                              p. 10
                                  
L’Occhio Universale della Mente
                 Schemi mentali                                                                p.14
                Per diritto e per rovescio                                                  p.18
                                  L’Inizio è metà dell’Opera                                                 p 22

Lo Strumento
                  Un po’ di Storia                                                               p. 26
                  Direttore ed Orchestra                                                    p. 28
                  Il Pianoforte. . . che Illusione                                         p. 33
                  L’Ascolto dell’Inudibile                                                   p. 38
Vagabondando    
                  Seduzioni                                                                         p. 42

“...vi è Metodo in su’ Follia...”

                  La Libertà impone Ordine                                              p. 47
                  Respirare, Smontare, Rimontare                                     p. 51
                                                                                              .
La Sinestesia
                  Non solo Orecchie                                                           p. 54
                  Vecchie e nuove Prospettive                                           p. 58
                  Prospettive uditive                                                          p. 60
                  Il Musicista Attore                                                          p. 64

 Misteri e Miracoli
                
Spazio – Tempo                                                              p. 65
La Divina Proporzione                                                  p. 70

Conclusione                                                                                      p.78
Altri Dialoghi                                                                                    p.79
Una lettera dall’Australia                                                                p. 92
Glossario                                                                                          p.93
Uno Schema Metodologico in 44 passi                                            p.95




Il Pianoforte: entro ed oltre la percezione

Volendo seriamente ricercare la verità delle cose, non si deve scegliere una scienza particolare, infatti, esse sono tutte connesse tra loro e dipendenti l’una dall’altra.
Cartesio

La storia della musica, oltre a narrarci i traguardi raggiunti dalla civiltà musicale, ci porta a ricercare, tramite lo studio delle discipline affini, anche la natura delfenomeno delsuono.
Il fenomeno del suono, avvenimento pre-storico,affonda le sue radici nel mito;  il mito a sua volta si riferisce, in modo sempre squisitamente poetico, a quell’esistenza primordiale dell’universo di cui il  primo elemento fu il suono.
Quali  interpreti e musicisti,  come possiamo pensare di poter riproporread altri ciò che è stato l’avvenimento originario, l’esperienza vissuta [1]del compositore, se non si conosconola materia sonora che egli ha dovuto e dovrà plasmare, la sua natura, i suoi remoti significati atavici, mnemonici, ed intuitivi?
Lo studio accademico della musica sembra non prendere in seria considerazione la coltivazione di questi aspetti del fenomeno sonoro, che, guarda caso, sono precisamente quelli che, in primo luogo, ci hanno portato ad intraprendere tale studio! Accanto allo studio della Teoria della musica, della Storia della musica, dell’Acustica, è necessario  anche esplorare ciò che coinvolge proprio l’Essenza di essa.
Questa disciplina, che è direttamente collegata alla Filosofia, esige lo studio di tre aspetti d’ogni fenomeno: la logica che da ordine e ricerca la verità; l’etica che ne investiga la morale e l’estetica  che ne spiega la bellezza.
Non è mia intenzione dare risposte, ma ho sempre cercato di aprire la mente degli allievi a nuove vie, ad intraprendere un cammino che ognuno dovrà esplorare e percorrere entro se stesso.
É un viaggio a ritroso. Questo significa che il percorso porterà alla necessità di rivivere, di recuperare quello stato magico che ci ha portato ad essere attratti per la prima volta verso il suono, verso la Musica.
Purtroppo, la dura disciplina necessaria allo studio di uno strumento, (o del canto o della direzione d’orchestra, con il carico di difficoltà fisiche da superare che comporta), tenderà sempre ad offuscare il punto di partenza, le proprie spinte spirituali ed estetiche innate e subcoscienti.
Il processo cognitivo musicale, che sembra procedere verso il futuro, diventa così una realtà cosciente, vissuta; ma è allo stesso tempo illusoria. In che senso illusoria?
L’esprimersi musicalmente necessita in effetti, un ripercorrere - questa volta consapevolmente- ciò che già esisteva nel profondo Io, nella nostra memoria individuale ed atavica.
Allora mi chiedo, questo moto dell’apprendimento che percepiamo procedere in avanti, ripercorrendo però contemporaneamentea ritroso il proprio vissuto cosciente e subcosciente, non è forse un modo diverso di pensare il moto ed il tempo– fermandolo?
Leonardo ci pone davanti a questa verità.
(…) D’ogni cosa che si move, tant’è lo spazio ch’ella acquista, quanto quello che lascia. ”
È forse una ricerca del nostro Paradiso Perduto?
La via della musica potrebbe essere forse un modo di vivere l’Eternità nel presente


I
...“la sostenibile leggerezza”  [2]

Marina:
Mi piacerebbe iniziare i nostri dialoghi dal “principio”. Vorrei scoprire quali siano stati gli stimoli, le intuizioni e la strada che ti hanno permesso di possedere una sapiente visione dell’arte.  È quest’aspetto, ne sono convinta, che ti porta ad essere per i tuoi allievi un punto di riferimento tale che oggi noi tutti riconosciamo di appartenere alla tua “scuola”.

Lidia:
Forse voi la chiamate “scuola”. Io francamente, non l’ho mai pensata come tale. Attraverso gli anni mi sono accorta che non ho mai detto qualcosa di nuovo. Forse ne ho fatte delle occasionali sintesi originali, degli accostamenti, e un’organizzazione particolare. Nulla di più. Ho semplicemente passato la mia vita alla ricerca di fili nascosti - unificanti e paralleli - alla mia professione di pianista e insegnante, maledettamente curiosa per temperamento. Infatti molte di queste risposte ed elaborazioni sono realmente Fogli d’Album, raccolte da conferenze, lezioni collettive in Conservatorio, pensieri sparsi trovati in appunti sparsi scarabocchiati su foglietti e così via. 
Per esempio, durante le mie divagazioni, mi è balenata l’idea che, in fondo, gli uomini d’ogni epoca e d’ogni etnia sono sempre stati accomunati dal desiderio estremo di controllare o vincere la forza di gravità.
Da Icaro agli astronauti; dai danzatori-attori dei teatri orientali a Nureyev; dalle gare Olimpiche della Grecia antica alle nostre discipline sportive (che sono esempi d’alto virtuosismo, spesso manifestazioni artistiche); dai suonatori di sithar, ad Orfeo giù fino ai nostri giorni, grandi e meno grandi strumentisti, direttori, cantanti, e via dicendo, tutti hanno avuto, (e altri continueranno ad avere), la necessità di sperimentare e di comunicare fisicamente i movimenti delle loro menti, delle loro emozioni e della loro spiritualità che peso non hanno!
In verità, può sembrare che siano coinvolte solo quelle attività che, similmente alla nostra, trattano di vincere l’implacabilità della forza di gravità e i ceppi della propria psiche: ma non è così. Il pittore, l’architetto il poeta, lo scrittore – ciascun a modo suo – combatte le stesse forze di opposizione
(…) Possiamo dire che due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l’una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo di impulsi magnetici; l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni…credo che sia una costante antropologica questo nesso tra levitazione desiderata e privazione sofferta. ”[3] 


È in questa chiave che vorrei svolgere questi dialoghi con voi allievi che me l’ avete richiesto. Per me è sempre stata una questione di capire più che di sapere; capendo, avrei potuto capire ulteriormenteattraverso l’insegnamento. Così facendo, è avvenuto l’innesto con estrema naturalezza: ricordandovi appunto, che l’insegnante più che  insegnare-addestraredeve servire daguida. Ho semplicemente fatto un riassunto di molti secoli di esperienze riportate nei trattati sullo strumento, organizzandola materia, e provando a dimostrare che i problemi tecnici o psicologici del pianista non sono diversi da quelli di tutte le discipline che trattano corpo, mente e anima. Anche in questo caso, esso potrà servire appunto, solo come guida per un percorso destinato ad essere squisitamente individuale. In un libro si può stimolare la curiosità, si possono aprire nuove strade ma non si può insegnare a suonare il pianoforte!
(OMISSIS.......................................)





III
BELLEZZA, VERITÁ







M:
Sono sempre più convinta, come dice Dostoevsky che "la bellezza salverà il mondo,  perché è la bellezza che ha sempre salvato  l’uomo"…Ora pongo una domanda alla quale forse non c’è risposta, o ve ne sono molteplici. Quando si può parlare di opera d’arte, che cosa la determina e la rende universale?  Esistono, e se esistono quali sono, i canoni della bellezza ? E il silenzio interiore quanto influisce sulla bellezza del suono?

L:
Prima parliamo della bellezza.
Nel catalogo di una mostra su Leonardo, [4]la curatrice riporta una citazione di Galeno (“Placita Hippocratis et Platonis”):

“Crisippo (…) afferma che la bellezza non risiede nei singoli elementi ma nell’armoniosa proporzione delle parti, nella proporzione di un dito rispetto all’altro, di tutte le dita rispetto al resto della mano, della mano rispetto al polso, di questo rispetto all’avambraccio, dell’avambraccio rispetto all’intero braccio, infine tutte le parti rispetto a tutte le altri, come è scritto nel canone di Policleto.”

Sarà questa consapevolezza che portò Mozart a dichiarare “Cerco due note che si amino” ?

Il filosofo Victor Zuckerkandl [5]sosteneva inoltre, che la bellezza , come unico fine, sebbene spesso sufficiente per l’arte, non è assolutamente necessaria alla realizzazione dei suoi scopi intrinseci. L’arte non mira alla bellezza; piuttosto a volte se ne serve, in altre occasioni, si serve della bruttezza. In ultima analisi, l’arte, non meno della filosofia o della scienza o della religione, o di qualunque altra grande impresa della mente umana, punta alla conoscenza, alla ricerca dellaverità.

Anche musicalmente la qualità del suono è una cosa, la sua bellezza un’altra. Il raggiungimento della qualità del suono è una tappa indispensabile dell’esecuzione musicale, ma non può essere il traguardo finale dell’esecutore: ciò ridurrebbe laMusica ad una semplice ricerca estetica, mentre ciò che ci unisce nella musica è appunto, le Verità che essa ci comunica anche attraverso la bellezza.

A proposito di “Verità” invece, risulta interessantissimo ciò che ho trovato leggendo "Dire l'Uomo" di Marko Ivan Rupnic [6]  Ad un certo punto egli riassume le verità più consolidate in varie civiltà. A me intriga particolarmente il pensiero dell'antica Grecia, (al quale mi riferisco come possibile ipotesi per comprendere il fenomeno Richter in un Blog a lui dedicato). [7]  Riassumo:

La Veritàpresso i greci era intesa come qualcosa che andava continuamente ricordato, sempre messo in vista, mai sepolto, qualcosa che vinceva il tempo, che non passa, che proprio perché sfugge alla dimenticanza si può riscoprire e ricontemplare. La verità è dunque “l'eterna memoria", il "memoriale perenne".
Ma per loro il ricordo perenne apparteneva solo al mondo divino, soprannaturale; la realtà umana, secondo certe correnti del pensiero greco, era regno dell’ombra, e per questa ragione si poteva (da uomini) arrivare ad acquisire solo delle "opinioni".
Infatti, (per questa corrente di pensiero) la Memoria era la Madre delle Muse, delle attività spirituali, delle creazioni artistiche. Dunque, ciò che può essere vero sulla terra sono le ispirazioni, le creazioni, le idee eterne dei filosofi, degli artisti e dei poeti, in qualche modo “partecipi” della verità divina. Quella verità, ciononostante, rimane ed appartiene al solo mondo degli dei. Gli uomini possono solo vedere degli sprazzi di luce che racchiudono in questo mondo dell’opinioni, frammenti di verità che fungono quindi da pietre miliari….


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IV
SEMPRE IN BILICO 

“(…) e come ogni volta che un equilibrio è toccato, scatta il mistero,. . più non si distingue quale sia la parte dell’arte, (poiché coll’ equilibrio, v’è penetrata anche l’arte), e quale della scienza. ” [8]



Nell’approccio fisico allo strumento, il primo passo in assoluto é la ricerca e scoperta dell’equilibrio. Prendere coscienza di questo stato é già un gran passo avanti, ma ciò che è più difficile ancora sarà il suo mantenimentoin movimento.
É uno stato di coordinati equilibri fra tutte le leve del proprio corpo, le quali leve hanno il loro fulcro centrale nel proprio baricentro. (A questo punto, è interessante aggiungere che il nostro diaframma metaforicamente ‘si appoggia sul nostro baricentro fisico’, e che questo centro coincide con quello figurato nel famoso Uomo Vitruviano di Leonardo).

Ovviamente, questi equilibri statici e dinamici[9]dell’esecutore debbono rapportarsi allo strumento. Per il pianista, gli appoggi statici,esternial proprio corpo sono pavimento, panchina e fondo tasto.
                                                                  
Dal pavimento, tramite le spinte della gamba e del piede sinistro (il piede destro essendo impegnato con il pedale di risonanza), verrà la forza [10]che maggiormente si opporrà alla forza verticaledi gravità. Tali spinte sono fondamentali anche per la dilatazione [11]verso l’alto dell’intero corpo.

Anche il compito di bilanciamento di tutti gli spostamenti laterali e retro/frontali del corpo sarà affidato al piede sinistro.

Una vera “rosa degli sforzi”! [12] 


                                




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V
SCHEMI MENTALI

“Liberarsi per librarsi!”  [13]sembra essere il richiamo dell’inconscio. Prendiamo un tuffatore.


Il tuffatore sfrutta l’altezza, per eseguire le sue acrobazie. L’altezzaè aumentata dalla sua spinta verso basso. Siamo di nuovo ‘all’opposizione di forze’per ottenere il risultato di equilibrio. 
Lo schema mentale adottato non è altro che una sequenza di posizioni (tradotte in immagini mentali) che vanno cambiate molto rapidamente nel tempo e nello spazio, che si accompagnano a uno schema di sensazioni (propriocettive) corrispondenti a tali immagini. Similmente, i comandi degli impulsi d’energia necessaria per tali fulminei cambiamenti di posizioni dovranno avvenire in lieve anticipo sul cambio stesso (è una questione di nano-secondi). Questo comporta un comando di contrazioni-decontrazioni muscolari che,propriocettivamente sembra avvenire contemporaneamente.
È lo stesso procedimento che deve avvenire per lo strumentista; ed è esattamente, lo stesso schema mentale che usiamo parlando, quando formiamo un pensiero completo anticipatamente all’atto di pronunciarlo. Nell’apprendimento d’ogni processo complesso si dovrà sempre passare da uno stadio di  sillabazione, per seguire alla connessione in parole e frasi, fino ad arrivare alla formazione dell’intero concetto. Diventare oratori è un’altra cosa, e non mi pare di doverlo spiegare!
M: Ma allora questo comporta che i comandi siano onni-comprensivi! Sono anticipati e veloci nell’ideazione, ma rallentati nell’ascolto?
L:
Senz’alcun dubbio. L’anticipazione dell’ideazione in rapporto alla fase esecutiva fu intuita da Ferruccio Busoni. In seguito, è stata denominata da molti neuro scienziati ‘ri-raggruppamento mentale’ confermando la validità dell’intuizione. Busoni aveva invece coniato il termine “fraseggio tecnico”. Egli, con questo, intendeva una nuovadivisione delle frasi musicali in quanto, come scritte, spesso si trovano in netto contrasto con il senso musicale.
Il ri-raggruppamento mentale (nel caso del pianoforte) si basa principalmente sulla disposizione dei tasti, sulla diteggiatura e sul disegno della stessa linea melodica. Questa riorganizzazione mentale può basarsi anche su numerosi altri elementi molti dei quali anche individuali.


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VII
L’INIZIO È METÁ DELL’OPERA

M:
Da quanto detto finora emerge  l’importanza di avere un buon insegnante fin dagli inizi. Non a caso la maggior parte degli antichi trattati iniziava proprio con un capitolo dedicato agli allievi con consigli su come scegliere l'insegnante.

L:
Quantz in questo è stato addirittura diabolico! Vale la pena citarlo in pieno. Pensa se fosse appeso oggi nelle bacheche dei nostri Conservatori ed in tutte le scuole di musica un simile “editto”?

PER COLORO CHE DESIDERANO DEDICARSI ALLA MUSICA


Lo studente deve evitare quel Maestro che non è capace di spiegare con chiarezza e completezza tutto ciò che risulta essere difficile a capirsi, e che pensa di poter insegnare per imitazione o per orecchio come si trattasse di ammaestrare animali.

Deve altresì evitare quel Maestro che lusinga troppo, in tal modo evitando di correggere i difetti; deve evitare colui che non ha la pazienza di ripeterecon insistenza la stessa cosa e di farla ripetere all’allievo.

Deve evitare chi non sa scegliere e adeguarei pezzi da studiare alle reali capacità tecniche dell’allievo e che non ha la capacità di spiegarne lo stile; deve evitare chi rallenta il continuo progresso.

Deve evitare colui che pone i propri interessi avanti all’onestà, che sceglie la comodità al sacrificio, l’invidia e la meschineria ad altruistica dedizione.

Deve evitare colui che alla base non ha, come meta iniziale e finale l’amore per il propagarsi della Musica .

Chiunque desideri studiare la Musica con profitto deve scegliere un buonissimo Maestro fin dall’inizio. C’è chi erroneamente pensa che all’inizio non vi sia questa necessità, scegliendo il meno costoso per fare economia, provocando in tal modo una situazione in cui è un cieco a guidare un altro cieco. Io consiglio l’opposto. Il migliore Maestro deve essere scelto fin dall’inizio, anche se si debba pagarlo il triplo degli altri. Alla fine non costerà di più e saranno risparmiato tempo e fatica inutile. Si può fare di più in un anno con un bravo Maestro, che in dieci anni con uno mediocre. ”

(Johann Joachim Quantz, a. d. 1752)[15]

M:
Appunto! Tornando alle mie domande, appropriandomi della terminologia utilizzata da Barba, [16] può il processo dell’inculturazione produrre risposte agli stimoli esterni (di qualunque natura essi siano); e per analogia, può il processo dell’acculturazione (il ripetersi di un gesto tecnico ad esempio) essere memorizzato come riflesso condizionato per diventare in seguito la risposta a uno stimolo di natura espressiva?

L:
Proprio di recente ho letto una frase che rispondea questa domanda.
I movimenti espressivi hanno la particolarità di incarnare lo psichico, al punto in cui ci viene dato in immediata partecipazione. Ogni scarica motoria può essere veicolo di processi d’espressione che non riguardano il solo movimento volontario.Nel movimento volontario come nel ‘gesto sonoro’ della parola e della sua ripercussione nella scrittura, come nell’opera plastica, avvertiamo lo psichico individuale semplicemente vivendolo, scartando così la via razionale delle associazioni.  [17]
Anche:
L’analisi dei movimenti del corpo umano e della natura, delle azioni fisiche nella loro economia, è alla base del lavoro sul corpo previsto dalla nostra Scuola…Queste azioni imprimono nel corpo sensibile alcuni circuiti fisici nei quali s’inscrivono delle emozioni. Sentimenti, stati e passioni sono espressi grazie a gesti, attitudini e movimenti analoghi a quelli delle azioni fisiche. ” [18]

Nel suo ‘Decalogo per gli Allievi’,  Ferruccio Busoni, dichiara:

“La più grande tecnica ha sede nel cervello e si compone di geometria, valutazione delle distanze e ordine sapiente.”





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É altresì ovvio che nell’insegnamento, “la messa in ordine”della meccanica del movimento è un processo di vera e propria “strategia”.
Soggetto della meccanica sono le forze che agiscono sui corpi e la risultante di queste forze in termini di equilibrio e di movimento. La sua applicazione al corpo umano prende il nome di biomeccanica… (Essa) si divide in due parti principali: la statica, che si riferisce ai corpi in equilibrio, e la dinamica, che tratta invece dei corpi in movimento.
La dinamica, a sua volta, si suddivide in cinematica, nel senso della geometria dei movimenti (...Busoni!), e in cinetica, nel senso delle forze che producono il movimento (...Lecoq!).
In biomeccanica, l’equilibrio e il movimento sono in così stretta correlazione che può essere poco pratico discutere di statica e di dinamica come di capitoli separati. ” [19]

Tutta la letteratura smentisce la possibilità dell’indipendenza fra le diverse parti del corpo.
Mi chiedo: quale pianista non è stato bombardato dall’idea della necessità dell’acquisizione dell'indipendenza delledita?
L’indipendenza digitale/muscolare,che è diversa dalla dissociazione muscolare,si rivela in totale disaccordo con la realtà biomeccanica.
Otto Ortmann [20], che nel suo (allora) rivoluzionario trattato sulla meccanica della tecnica pianistica adotterè gli stessi termini usati nella sopracitata Dispensa di Cinesiologia, scritta per per gli  allenatori di calcio!
Il comune denominatore?
Il corpo umano.


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X
IL PIANOFORTE…CHE ILLUSIONE!

M: Mi ha sempre stupito una tua particolare qualità, la capacità di individuare immediatamente la particolare sensibilità, le peculiarità positive, l’individualità di ogni allievo per valorizzarle al meglio. La correzione diventava così un percorso verso una meta.
L:
Confesso che mi pesa molto dovere trattare l’aspetto artigianale dell’insegnamento del pianoforte senza suono e senza avere davanti a me un essere umano. È molto difficile dover trattare quel lavoro di bottega con le sole parole scritte o inserendo anche tutti gli esercizi più adatti. Per sua natura, nell’insegnamento viene esercitata una forte influenza sulla psichetramite la presenza stessa e l’improvvisazione sul momento, secondo l’allievo che si ha davanti.

L’insegnante non potrà mai sperare di cambiare la materia prima. Il suo unico scopoè quello di guidare ogni individuo verso il raggiungimento del meglio delle sue possibilità: aprirgli la mente e l’anima, non cambiarla.

Aprirla significa far in modo che, anche se nella vita non verrà indirizzata verso la professione musicale, essa potrà essere applicata (modificata ed adattata) a qualsiasi attività intrapresa nel futuro. Credo e spero che si stia facendo strada, in chi legge, l’idea che vi è un  comune denominatore in tutte le attività che impegnano intelletto e anima.  

Se poi si tratta della“messa in forma” del corpo di qualsiasi disciplina, in qualsiasi cultura, ci si troverà nella necessità di renderlo pronto ad asservirsi alla finalità per la quale si esercita, e che questo comune denominatore determina anche una comune metodologia. Rimane solo l’applicazione delle leggi fisiche e psicologiche comuni all’attività stessa.

Non posso esimermi dal parlare dello strumento al quale dobbiamo modellare il nostro corpo. Ne abbiamo già parlato in riferimento al raggiungimento dell’equilibrio e del suo mantenimento anche in condizioni instabili, cioè dinamiche. Esaminiamolo ora come strumento.


Il Pianoforte


                                  


Sembra ovvio dire che il pianoforte è uno strumento a percussione costituito da una serie di leve, e che affondando un tasto in modo diversificato il martello si alzerà, colpendo una corda, in modo altrettanto diversificato.
É anche stabilito che l’unica diversità meccanica nella produzione di un suono sta nella velocità con la quale il martello colpirà la corda.
Il comune pensiero porta a giudicare questo strumento come ‘il più facile’: tanto, si dice, i suoni ‘sono già fatti’, non c’è il problema dell’intonazione!

E siamo alla prima illusione. Pensate veramente che il vero pianista non debba già avere preparati nelle sue mani gli intervalli, e che abbia il tempo per misurarli sulla tastiera – inclusi i salti?

Andiamo avanti. Ciò che apparentemente lo rende più abbordabile, più immediato, è precisamenteciò che lo rende, a mio avviso, il meno musicale fra tutti gli strumenti (eccetto naturalmente  gli stessi strumenti a percussione).

Come fa uno strumento a percussione a cantare? Una contraddizione di termini.
Come fa uno strumento a percussione a legare i suoni fra di loro. Non ha un arco. Non ha il fiato. Niente.
Guai poi affidarsi al pedale! Il pianoforte inoltre ha una tastiera che produce suoni singoli come il computer scrive lettere e numeri (trempo fa si usava la similitudine spregiativa di macchina da scrivere).

Sono problemi di non poco conto se il pianista ha l’impellente necessità di adempiere a tutte le implicazioni musicali di una partitura. Ormai tutti i problemi meccanici-tecnici sono ampiamente esibiti su tutti i palcoscenici del mondo e sono diffusamente dominati. Ma quando si vuole che tutto questo faccia del pianoforte ‘arte’,’soffio dell'anima’, vi assicuro che si trasforma nel più difficile degli strumenti  esistenti!
Con esso si dovrà in primo luogo rievocare (imitare è impossibile) le qualità tipiche di tutti gli altri strumenti che percussivi non sono. [21]  Dovrà riproporre l’assoluta impareggiabile bellezza del legato prodotto (sia pur con tutte le sue difficoltà) dalla voce; l’infinita varietà di timbri (colori) di tutti gli strumenti orchestrali; e quando parlo di colorinon parlo di intensità, parlo di colore: perché il pensiero musicale non è solo in bianco e nero (più forte o più piano)! Bianca e nera è la tastiera.
Inoltre, trattiamo il totale della partitura: la melodia e l’armonia (oltre il ritmo e la metrica). Anche il pianista deve basarsi sul controllo del respiro, anch’egli dovrà già incorporare e prevedere gli spazi nelle mani, nelle braccia, nel corpo…
Ma riprendendo il discorso del comune denominatore, ritorno anche a tutte le incomprensioni e soprattutto all'annoso problema del legato al pianoforte. Ciò avviene di nuovo per bocca del nostro Leonardo, il quale dimostra che i problemi si equivalgono, e che ho proprio poco da lamentarmi per le manchevolezze del mio strumento.
(…) D’ogni cosa che si move, tant’è lo spazio ch’ella acquista, quanto quello che lascia (…) il primo principio della scienza pittorica è il punto, il secondo è la linea, il terzo è la superficie, il quarto il corpo o volume (…) E per sfuggire a tal principio diremo: il punto è quel del quale nessuna cosa può essere minore, e la linea è creata dal moto del punto (…) e li sua termini son due punti; e la superficie si genera dal moto trasversale della linia (…) e il corpo è fatto dal moto. [22]
I punti sono i singoli suoni, (anche se percossi), e la lineaè “il moto del punto”. La superficie è la risultante dell’insieme dei punti collegati dalle linee formando “il corpo” armonico, e “i sua termini”, il silenzio.
È un disegno fatto di suoni; è la coreografia del gesto contenuto nella partitura;è il movimento tracciato nello spazio e nel tempo; è uno schema mentale…vistoda diritto e rovescio!
In poche parole, Leonardo, ha anche spiegato l’arte della tecnica pianistica.


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XII
SEDUZIONI

L:
Ripercorrere la storia evolutiva della tecnica del mio strumento è stato il mio punto di partenza. La documentazione raccolta mi ha permesso di procedere nella stesura di un primo schema di metodologia per l’insegnamento, ma soprattutto, strada facendo ho inconsapevolmente assimilato anche una metodologia per la ricerca di me stessa.
Questa, più o meno, è stata l’andata dei miei pellegrinaggi musicali (esistenziali). Gli ultimi anni hanno segnato iritorni, fatti dirievocazioni, di riformulazioni, e di continui e rinnovati stupori e meraviglia!
Temo che il seguito dei nostri colloqui e di questo albumvagheranno in tutte le direzioni. Un vero gioco di peripezie mentali!

M:Spesso mi sono ritrovata a dover convincere gli allievi della necessità di sviluppare un atteggiamento verso la tecnica pianistica che si basasse sulla consapevolezza della propria gestualità. Le argomentazioni che potevo riassumere non sembravano mai essere sufficienti a far comprendere qual era la natura di questo lavoro e la portata delle sue conseguenze. Rivolgo a te quindi il difficile compito non di convincerci, ma di ‘sedurci’ a seguire questa via, che racchiude in se tutto il mistero della vita.  
L:
M’intriga il tuo uso della parola ‘seduzione’. Non me l’aspettavo! Oltretutto, mi distrae dal discutere di tecnica. La seduzione è uno dei poteri di tutte le arti: in questo contesto non può implicare inganno!
Quanto a sedurre  i giovani a seguire questa via, penso che, se si sono avvicinati a quest’Arte volontariamente, significa che sono stati già sedotti dalla Musica!
La Musica include armonia, bellezza, verità intuite(anche se non pienamente comprese). Noi abbiamo solo il compito di guidarli alla consapevolezza di ciò che già  loro possiedono.
Inoltre, giacchè hai introdotto la magica parola seduzione, non posso trattenermi dal divagare nuovamente verso quell’incontro letterario già citato, e che tratta il teatro e la danza. Ha integrato gli stessi concetti che avevo incontrato in innumerevoli trattati sulla musica e sull’arte pianistica, in tal modo arricchendo di nuovi termini il mio lessico, e di conseguenza le mie spiegazioni ai giovani. Penso che mi sentirai citare ripetutamente questo testo. É la riprova di quanto sia imprevedibile e variegato ciò che può sedurre. Ecco un esempio:

 Le tecniche quotidiane del corpo tendono alla comunicazione. Le tecniche extra-quotidiane, invece, tendono all’informazione: esse, alla lettera, ‘mettono in forma’ il corpo. Le tecniche virtuosistiche tendono alla meraviglia e alla trasformazione del corpo. In ciò consiste la loro differenza essenziale...”  [23]


In questa citazione incontriamo dei bellissimi termini:“tecnica extra quotidiana” e “livello pre-espressivo” (di cui mi sono appropriata con entusiasmo). Sono applicati da Barba a significare che “tutte le tecniche che non rispettano gli abituali condizionamenti dell’uso del corpo…” necessitano speciali e metodici accorgimenti. Sono queste le tecniche alle quali dovranno fare ricorso tutti coloro che si pongono in una situazione di rappresentazione.
Mi ha sedotto l’idea che la fase dell’apprendimento di una tecnica(che egli denomina pre-espressiva) segna un determinato livello di organizzazione, ben distinta dalla fase di apprendimento della meccanica di quella particolare disciplina artistica. Essa costituisce la fase di apprendistato, cioè, quel periodo che ho già denominato“di bottega”. [24]
È così sulla mia “via del ritorno” ho riallacciato un filo sospesocon il teatro che, musicalmente, è stato il mio primo amore. Fui esposta all’opera lirica ancor prima della mia nascita. Mi ricordo l’intensità con cui, ascoltando, giocavo immedesimandomi in tutte le vicende (specialmente in quelle tragiche!). Solamente ora mi accorgo di quanto la fatale attrazione per la musica era nata e si era sviluppata attraverso la parola cantata e la sua rappresentazione teatrale.
M:
Ho scoperto con enorme piacere che entrambe abbiamo conosciuto la Musica in tenera età per mezzo del melodramma. Fin da piccolissima seguivo mio nonno nei vari teatri, e le opere divennero le mie favole. Così fui sedotta.
Riassumendo ciò che descrive B. H. Lipton, nei bambini tra la nascita e i due anni vi è una predominanza nell’attività cerebrale di onde Delta, e tra i due e i sei anni di onde Theta. Tali onde a bassa frequenza rendono la mente "più suggestionabile e facilmente programmabile". E’ in questo periodo che memorizziamo una quantità enorme d’informazioni necessarie per interagire con le esperienze future.
L:
Certamente, e voglio proseguire in questo tuo discorso ritornando alle seduzioni incontrate durante il mio vagabondare, eche trattano proprio questo stadio iniziale della vita e dell’inizio della civiltà intera.
Quale immagine può sedurre di più dell'uomo/musicista visto come un essereche trascorre la propria vita nel sognante tentativo di ritrovare il suo “paradiso perduto” cercandone l’intima ricostruzione? E, l’Uomo in generale, nella sua costante ricerca della felicità, non sembra sempre volere rivivere lo stato idillico del suo Eden perduto?

(…) la singolarissima coincidenza per cui l’anima e la musica compongono, nella loro fondazione, il recupero della condizione intrauterina trova la sua spiegazione nel fatto che anima e musica sono intimamente legate alla vita degli affetti e dei sentimenti. E la condizione intrauterina è il luogo dove nascono originariamente tutti gli affetti ed i sentimenti. ” [25]
Quanti poeti si richiamano a questo Paradiso perduto! Sembra che i poeti, ed i musicisti, ascoltatori dell’universo inudibile, precedono sempre coloro che sono intenti a cercare la verità tramite la sola ragione.
Schopenhauer così si esprime:
(…) l’ineffabile senso intimo di ogni musica, in grazia del quale essa ci passa davanti come un Paradiso a noi familiare e pure eternamente lontano, affatto comprensibile, proviene dal riflettere tutti i moti del nostro essere, ma senza la loro realtà, e tenendosi lungi dal loro tormento. [26]
Oppure, ritornando al comune denominatore fra scienze ed arti, non si possono riconoscere parole simili, già udite,  in questa, pur minima, citazione di Ovidio? [27]

(…) Prima del mare e della terra e del cielo che tutto ricopre,unico ed indistinto era l’aspetto della natura in tutto l’universo e lo dissero Caos, mole informe e confusa, peso inerte (...) nulla riusciva a mantenere la sua forma, ogni cosa contrastava le altre poiché nello stesso corpo il freddo lottava col caldo, l’umido con l’asciutto, il molle col duro,
il peso con l’assenza di peso (…)

Oppure Tomatis:  [28]
 Abbiamo visto che al principio la vibrazione primaria non era che un suono, una vibrazione (…) che lo shock sonico, il suono iniziale, colpì nel “punto supremo” creando il “Big Bang” e l’evoluzione; e che (il suono iniziale) proviene da un nucleo di dimensioni inferiori a quelle di un atomo. È il risultato di una deflagrazione provocata da una concentrazione di energia arrivata all’ultimo stadio, senz’altra via di uscita. Il mondo greco ha battezzato Logos questo “rumore primario” identificato con l’energia creatrice (…) [29]
poi si chiede:
(…) I grumi di suoni sono ridicolmente minuscoli, però racchiudono tutta l’energia che contribuirà a generare il mondo. Sono il generatore di tutte le vibrazioni emesse nell’universo e quindi la fonte di tutti i suoni immaginabili. Contengono tutte le musiche che gli uomini, milioni di anni più tardi, sapranno ritrovare o crederanno di inventare. (…) e se l’universo non fosse che un Suono, e il Big Bang un’unica “ Sinfonia Fantastica?”

E molti secoli prima Lucrezio [30]aveva già detto:
(…) semi e principio delle cose da cui tutto il complesso del mondo risulta creato…


Spazio onde gravitazionali del big bang catturate ad Harvard

La moderna psicologia evolutiva sostiene che la formazione musicale collettiva sia analoga a quella individuale. Riportandosi alla vita prenatale dell’individuo vissuto nel grembo materno, (dove compare la soglia del suo universo sonoro), per analogia ci riconduce all’uomo primordiale immerso in un mondo preistorico, attento all’ascolto di tutto ciò che nell’ambiente circostante avrebbe potuto diventare punto di riferimento, consolante o inquietante, accostante od ostile.

“(...) Ogni individuofarà il suo ingresso nella vita immerso in un bagno di suoni, costituto dal battito cardiaco, dalla respirazione, dal flusso sanguigno e dalla voce della madre. Gradualmente gli giungeranno anche altre voci, altri suoni, provenienti dall'esterno di questo suo mondo d’ovattata sicurezza, d’idillica sospensione, di leggerezza. L’uomo primordiale fece ingresso nel suo spazio ambientale, anche lui immerso in suoni che dovette man mano decifrare, interpretare, e proporre; suoni che gradualmente posero le basi per la sua capacità di inter-agire, di comunicare.”  [31]

Personalmente, anche queste considerazioni della moderna psicologia evolutiva, mi ricordano parole già udite per mano dei poeti e dei ricordi mitici.
Sempre a proposito dello stadio iniziale della vita, come non essere più che sedotti dal progetto educativo dei Greci del V° secolo a. C., i primi psicomusicologi  della storia occidentale? [32]
Essi sostenevano che il perfetto cittadino dovesse sottomettersi ad una duplice forma di educazione: quella dell’anima e quella del corpo.
Essi affidavano l’educazione dell’anima esclusivamentealla musica; quella del corpo all’atletica. Solo alla musica attribuivano questo profondo, inspiegabile potere. Questi precursori dell’odierna disciplina si chiamavano Socrate, Platone, Aristotele, Teofrasto, Aristide …e quello che mi fa molto riflettere è il fatto che erano essi stessi ad avere, contemporaneamente, questo potere morale  insieme al potere politico in grado di attuarlo.
Ciascuno sosteneva diversi punti di vista, chi più severo, chi più liberale; ma tutti fondavano la propria teoria sul potere etico e morale contenuto nei diversi modi musicali della loro cultura. Socrate approvava unicamente le armonie doriche e frigie. Aristotele, che lo seguì, sembra avere avuto una visione più liberale e concedeva che alle diverse fasce d'età fosse ammesso l’ascolto di un maggior numero di armonie.
E se rinascessero ora?
Qui mi fermo, perché le seduzioni che ho subìto sono davvero troppe.

XIII
LA LIBERTÁ IMPONE ORDINE 


M:E così dunque, che intendi introdurre nei nostri dialoghi il tuo concetto di ordine metodologico?.
L:
É fondamentale “mettere ordine” in tutte le informazioni. Si deve arrivare a tracciare una gerarchia, riordinandola in schemi ripetibili ma flessibili ad ogni necessità.
Ordine porta tranquillità e la tranquillità porta la libertà.
Dopo anni di esperienza didattica, ho potuto accertare che solo un corpo e mani forti ubbidiscono; mentre il corpo e le mani deboli comandano.
Per essere liberi di esprimere abbiamo bisogno di corpo e mani che ubbidiscono!
Perciò ritorno a Barba, che nel capitolo“La totalità e i suoi livelli d’organizzazione”[33]tratta la metodologia applicata all’educazione degli attori: detto capitolo può essere applicato anche al  pianista, semplicemente cambiando il soggetto.
(…) Molti spettatori credono che la natura dell’attore (pianista) dipenda dalla sua espressività e spesso credono anche che l’espressività derivi a sua volta dalle intenzioni dell’attore. Questi spettatori si comportano come gli Etruschi: le nubi si scontrano per creare i fulmini, gli attori agiscono per esprimersi. In realtà, soprattutto nelle tradizioni di teatro codificato, avviene il contrario: l’attore plasma il proprio corpo secondo determinate tensioni e forme (armonia e ritmo) e sono proprio queste tensioni e forme a scatenare i fulmini nello spettatore (e prima ancora nell’interprete).
Da qui il paradosso dell’attore (pianista) non emozionato, capace di suscitare emozioni.....L’antropologia teatrale postula un livello di base d’organizzazione comune a tutti gli attori (pianisti) definendolo pre-espressivo. (…) Mantenendoliseparati durante il processo di lavoro,l’attore può interveniresul livello pre-espressivo, come se, in questafase, l’obiettivo principale fosse l’energia, la presenza, il bios delle sue azioni e non il loro significato.
Il livello pre-espressivo così concepito è dunque un livello operativo: non un livello che può essere separato dall’espressione, ma una categoria pragmatica, una prassi che durante il processo mira a potenziare il bios scenico dell’attore.
Riporto una sintesi, sempre nel campo del teatro, di Jacques Lecoq,[34]e la sua idea dell’organizzazione di una metodologia: un’ulteriore conferma dei “principi che ritornano” e del “comune denominatore”:
Il programma d’insegnamento comincia con una ricerca…silenziosa; poi partendo da uno stato neutro, uno stato di calma e di curiosità, inizia il viaggio pedagogico vero e proprio. (…) All’inizio con la scoperta della dinamica della natura, ci rendiamo conto che sono le costrizioni di stile che portano a costruire in maniera diversa il reale(…)
La seconda parte del viaggio inizia con uno studio sul linguaggio dei gesti(…).
A ogni tappa egli fa corrispondere un diverso modo di svolgere l’esercizio: Lecoq, proveniente dalle attività sportive, nelle sue analisi del movimento evidenzia alcune leggi meccaniche che si trovano tali e quali in Otto Ortmann. [35]
1) Non c’è azione senza reazione; [36](vedi legge fisica)
2)      Il movimento è continuo, avanza incessante; (vedi capitolo “Schemi Mentali”e Leonardo)
3)      Il movimento procede sempre nel disequilibrio, alla ricerca dell’equilibrio anche se momentaneo; (vedi Ungaretti e capitolo  “La Divina proporzione”)
4)      L’equilibrio stesso è in movimento; (vedi capitolo “Sempre in Bilico” e “ La Divina proporzione”)
5)      Non esiste movimento senza punto fisso; ( vedi Leonardo)
6)  Il movimento evidenzia il punto fisso; (vedi Leonardo)
7)   Anche il punto fisso è in movimento. (vedi Leonardo)

Nel seguente diagramma (già incontrato) Lecoq indica le forze d’opposizione in gioco quando siamo impegnati a deviare, sospendere,accelerare o rallentare la forza verticale della gravità e aggiunge:
La disciplina del corpo è una costrizione al servizio della libertà…tutto ciò che fa l’uomo può essere ridotto a due azioni fondamentali: tirare e spingere. Queste azioni si declinano in essere tirato ed essere spinto. Tirare e spingere  hanno luogo in diverse direzioni: di fronte, di fianco, di dietro, in obliquo…è ciò che chiamo la“rosa degli sforzi”.




(OMISSIS……………………)


XV
NON SOLO ORECCHIE

M:
Noto che le tue ultime letture virano verso il campo delle investigazioni empiriche / scientifiche, mentre precedentemente eri più tesa più l’aspetto anatomico/meccanico, oppure storico/filosofico. Poi ci fu anche il periodo dell’essenza stessa del suono in relazione al cosmo, agli aspetti più misteriosi, all’ignota realtà...

L:
Sì…mi diverte moltissimo osservare come finalmentela scienza è stata obbligata a rivolgersi alle opere d’arte, alla letteratura, alla musica ed agli artisti in generale per conoscere i più reconditi funzionamenti del cervello umano. Prendiamo, per esempio, la sinestesia.

Le figure retoriche, classificate dai tempi dell’antica Grecia (siamo di nuovo con loro!), ne sono  un evidente e folgorante esempio.
Ecco un esempio magistrale per mano di Pirandello. Quanti sensi...e sensazioni sono risvegliati per permetterci di rivivere quelle personali del poeta!

“Che è l’afa? Ristagno di luce in basso, che snerva l’elasticità dell’aria”

Altre letture recenti mi portano nuovamente a deviare il discorso parlando della  vista. Come abbiamo già accennato, sono gli occhi il nostro primo contatto con l’idea musicale.
La nota biologa Livingstone [37]ritiene che 
(…) gli artisti hanno utilizzato proprietà del nostro sistema visivo creando opere d’arte che possono essere considerate veri e propri esperimenti.
Dello stesso parere è il neuro scienziato Jonah Lehrer [38]. Egli esamina alcuni punti di svolta nella comprensione del funzionamento del cervello attraverso gl’inconsapevoli esperimenti, ciascuno nel suo campo, di Whitman, di George Eliot, Escoffier, Proust, Cézanne, Stravinskij, Stein e Woolf .
La Livingstone, per esempio, in numerose occasioni cita Leonardo, Kandinsky, scrittori, e altri artisti, i quali perpura esperienza e ‘immaginazione’sono arrivati prima della scienzaa conclusioni analoghe (ed oltre!).
A questo punto anticipo la tua domanda: ebbene, con questo? Dove vuoi arrivare?

M:
Credo di avere capito. L'intuizione artistica nasce dall'interno, il metodo scientifico si basa sull’esperimentazione. L'arte chiede conferme alla scienza e la scienza si rivolge all'arte, alla sua potenza espressiva e rievocativa, per cercare di capire e dimostrare ciò che ancora non riesce a dominare: l'essenza più intima dell'uomo, la sua immaginazione, la sua creatività, la sua spiritualità. Sono curiosa di sapere dove ti ha portato la lettura di Lehrer. Certamente apre nuovi orizzonti.

L:
Questa lettura mi ha condotto a una più chiara conoscenza del miracolo dell’intuizione razionale dell’artista.
I riscontri incrociati fra i meccanismi dei sensi, fra le culture, fra le tecniche corporee, e così via, sono diventati per me ora, una continua fonte di ammirato stupore.
La sinestesia dovrebbe essere oggetto di grande interesse e di illuminante utilità per maestro e allievo. Pensa a quante similitudini, metafore, paradossi, accostamenti avremmo in più a nostra disposizione per spiegare sottili sensazioni ai nostri allievi.   

Dai greci, con il loro acuto e visionario intelletto, fino ai tedeschi dell’ottocento (sempre scientificamente vigili), hanno tutti, a loro modo, rimarcato questo fenomeno. Così Apollonio Rodio, poeta greco, lo ha descritto:
(…) Come l’occhio vede e riconosce le forme nella natura, ma può anche immaginare similitudini riferite a essa, anche se non effettivamente esistenti, così l’orecchio ode e riconosce i suoni della natura esterna, ma riconosce anche i risonanti riflessi delle nostre reazioni ed emozioni.  [39]



(OMISSIS……………………)

XVI
VECCHIE e NUOVE PROSPETTIVE
L:
La parola “spazio” usatain precedenza, mi riporta ad altre letture che trattano la percezione visiva ed la tecnica pittorica alle prese con la sua rappresentazione, incluso tutto ciò che lo occupa. La tecnica della prospettiva. [40]
Le arti figurative nacquero quando l’uomo sentì la necessità di disegnare oggetti, strutture o altro. Attraverso i millenni ogni epoca e cultura ha sviluppato un proprio sistema per rappresentare la sua visione del mondo. Un mondo tri-dimensionale doveva essere trasferito su un unico piano bi-dimensionale
La grande Arte ha aggiungto  una quarta dimensione: quella dello spirito.
Senza portarci troppo fuori tema con dettagli (pur affascinanti), solo tramite queste letture, ho focalizzato che vi sono quattro tipi di prospettive (oltre una prospettiva curva resa possibile dai recenti sviluppi tecnologici di cui non tratterò):
.
1)      Prospettiva lineare detta anche prospettiva rinascimentale (già citata. )
2)      Prospettiva inversa.
3)      Prospettiva percettiva
4)      Prospettiva assonometrica.

Leggendo e guardando le numerose immagini, mi è immediatamente balenata l’idea che queste prospettive visive, completamente astratte, corrispondevano precisamente alle diverse prospettive di ascolto della musica da parte dell’interprete e dell’ascoltatore.
Questo mi spiega la ragione per cui spesso, chi suona non riesce a costruire una convincente struttura sonora che si presti a essere “co-ricostruita” [41]da chi ascolta.
È un’inconsapevole,  limitata prospettiva d’ascolto dello stesso esecutore!
1) ProspettivaLineare/ moderna
Tale rappresentazione dello spazio in profondità si fonde sul fenomeno per cui tutte le rette parallele sembrano congiungersi all’infinito in un punto; il “punto di fuga”. É situato oltre una cornice che agisce come finestra aperta attraverso la quale l’osservatore guarda. É la prospettiva a noi più nota, perché è stata la più usata nell’epoca post-rinascimentale.



2) Prospettiva Inversa
Meno ovvia, ma molto chiaramente percepibile dal soprastante grafico,  si può osservare che la prospettiva lineare rinascimentale già incorpora quella inversa.Il principio della prospettiva inversa è l’opposto della lineare.
Le linee di questa prospettiva non s’incontrano in un punto di fuga situata al di là della cornice, ma in uno o più punti situati al di quà diessa. Ogni figura oppure oggetto del quadro può dirigersi verso punti diversi o verso uno o più spettatori che si trovano al di fuori del quadro stesso. Esempi sono riscontrabili nell’arte bizantina, nelle icone, in molta arte del XI° e del XII° secolo e nuovamente  in quella del XX° secolo, che userà anche tuttele prospettive in concomitanza.

3) Prospettiva Percettiva (Naturale)
La prospettiva percettiva non è né l’una, né l’altra, perché entrambe le precedenti sono basate sul presupposto della visione affidata a un occhio solo, od un unico punto, che funge da punta di osservazione. La visione naturale, al contrario, si ottiene per mezzo di due occhi, perciò due punti di fuga nel caso della prospettive inversa, e due punti di osservazione nel caso di quella lineare. Questa prospettiva naturale risulta deformata agli angoli estremi (in curva), ed muta in continuazione.


4) Prospettiva Assonometrica (isometrica)
La prospettiva assonometrica, nuovamente, è un tipo di rappresentazione totalmente immaginaria, perché è la visione simultanea e completadegli oggetti; e sappiamo che ciò non può avvenire in natura.

1° versione stampata dell’icosaèdro di Leonardo da Vinci nella “Divina Proportione” di Luca Pacioli 1509, Venezia




XVII
PROSPETTIVE UDITIVE

Mi sono chiesta: le stesse prospettive potrebbero pure esistere nelle diverse situazioni di ascolto?
È così che ho iniziato a investigare le analogie fra le diverse prospettive visive e le corrispondenti prospettive d’ascolto.
(OMISSIS……………………)




XVIII
IL MUSICISTA-ATTORE

Visto che ho citato tante metodologie teatrali, aggiungo due testi che considero esemplari; uno musicale, e uno teatrale:
Johann Joachim Quantz, nel suo trattato “On Playing the Flute” [42], dedica un capitolo ai parallelismi fra l’esecuzione musicale e la declamazione teatrale.

L’esecuzione musicale può essere paragonata alla declamazione. L’oratore e il musicista hanno, in fondo, la stessa meta riguardo sia alla preparazione, sia al prodotto finale della loro prestazione: cioè, di rendersi padroni di se stessi e dei cuori dei loro ascoltatori, di muoverne o acquietarne le emozioni, oppure di trasportarli dall’uno all’altra. E’ di gran vantaggio che, sia il musicista sia l’attore (o oratore), “conosca ciascuno i doveri e i problemi dell’altro. In primo luogo deve essere vera e scandita chiaramente. . . il fraseggio deve rispettare le indicazioni del compositore…deve essere tornita e completa…deve essere naturale e fluida…l’esecutore deve guardarsi da inutili smorfie mantenendo sempre un’elegante compostezza…l’esecuzione deve essere varia, costantemente mutando luci e ombre…infine, dovete misurare l’espressività alla passione che incontrate, non esagerando né trattenendovi. . . ”

Parole quasi identiche risuonano nelle appassionate esortazioni d’Amleto, quando chiede ai teatranti venuti a corte di mettere in scena l’assassinio del proprio padre:

Mi raccomando, recitate la tirata come l’ho detta io, scandita e in punta di lingua; a urlarla, come usano tanti attori, sarebbe come affidare i miei versi a un banditore di piazza. E non trinciate l’aria con la mano, così; ma siate delicati perché anche nel turbine, nella tempesta, o, per così dire, nel vortice della passione, dovete procurarvi una certa dolcezza e misura…Ma non siate nemmeno troppo addomesticati; fatevi guidare dalla discrezione, accordate il gesto alle parole, la parola al gesto, avendo cura di non superare la modestia della natura; qualsiasi cosa in tal misura gonfiata è ben distante dalla recitazione, il cui fine - ora come ai suoi primordi - è di reggere lo specchio alla natura. Direi: di mostrare alla virtù il suo volto, al disdegno la sua immagine, e perfino la forma e l’impronta loro all’età e al corpo che il momento esige. Accordate il gesto alla parola, parola al gesto!” [43]

Questa potrebbe essere una buona sintesi: accordate il gesto al suono, il suono al contenuto, il contenuto alla partitura, la partitura all’immaginazione, l’immaginazione alla sapienza e…al buon gusto!
XIX
SPAZIOTEMPO [44]

Ungaretti, commentando uno dei significati del ‘temponelcomponimento poetico’ commenta: [45]
(…) Forse per primo (Leopardi) propone il tempo come il riflesso variabile, il simbolo fluido, lo specchio della vita psicologica. (…) La nozione di tempo è ormai data come storia dell’anima e d’un anima, in quei termini cioè, che svilupperà il romanticismo. (…)
M:
Il tempo. E’ definibile oggettivamente, oppure è legato unicamente alla nostra percezione? La prima volta che ebbi la prova della mutevolezza della percezione temporale fu determinata dalla  diversità di suono  prodotto da uno strumento (anche se più potente) in una sala più vasta. A parità di metronomo l'effetto era di una maggiore velocità. Che problema trovare il “giusto” tempo ogni volta…
L:
Appena si accenna alle parole spazio/tempo io mi sgomento! Limitiamoci all’aspetto temporale dell’esecuzione musicale e del suo rapporto con la forma.
Certamente il tempo di un’esecuzione (come abbiamo costatato parlando della prospettiva uditiva), è una nostra percezione del prima, durante  e dopo l'evento sonoro.
I tempi mutano oggettivamente soggettivamente in virtù del contesto da noi attribuito alla composizione e all’attenzione che poniamo al movimento armonico. Certamente il movimento armonico crea un nuovo “tempo” oltre il tempo/ritmo: un “macro tempo”. Certamente è l’armonia che dà voceai colori delle e-mozioni, muovendole temporalmente. Le melodie semplicemente ci danzano sopra.
Con un sapiente gioco armonico, i nostri grandi compositori sono riusciti a creare anche l’illusione della durata delle vicende, talvolta dell’intera opera stessa.
Nella musica come nel teatro, l’autore può far nascere questa indeterminatezza temporale creando nello spettatore la certezza dell’assoluta improbabilità che tutto ciò che avviene, possa realmente avvenire in quel dato lasso di tempo.
Nel teatro elisabettiano, per esempio, la pratica del “doppio tempo” e dei “doppi luoghi” era profusamente usata. Nella prospettiva psicologica di un personaggio un’unica giornata poteva diventare due giorni, una settimana, un mese…oppure: un’intera vicenda poteva svolgersi in tempi e luoghi imprecisati e imprecisabili ! [46]
In musica, possono determinarsi sensazioni fulminanti o d’infinito, secondo la disposizione armonica/ temporale impiegata dal compositore. In Pélléas et Mélisande, per esempio, questo stato di incertezza di tempo e luogo viene sottolineato magistralmente da Debussy.
Menziono questi esempi a caso, perché personalmente, come ho già avuto occasione di dichiarare, penso che la musica segua la stessa andaturadello spazio/tempo cosmico: la sua struttura temporale si deforma costantemente in movimenti curvilinei, che possono lanciarsi nell’infinito oppure ritornare su sé stessi. [47][48]
M:
Ora non mi stupisce più che mentre suono percepisco il tempo in innumerevoli modi diversi…
L:
Giustamente. Per quello che posso aggiungere io, le filosofie, le religioni, e ora la scienza si sono dilaniate (e continueranno a dilaniarsi), per spiegare ciascuno a modo suo, questo mistero nel quale viviamo e operiamo.
Devo ammettere che c’è voluto un po’ di tempo per capire perché tempo/spazio sono curvi!Non sono mai temi facili da svolgere. E pensare che è ciò di cui la Musica è costruita! Sarà anche una delle ragioni per cui, in fondo, penso che parlare di, o spiegare la Musica è assolutamente necessario, anche se alla fine risulta essere sempre inadeguato.
Ritrovo, fra le carte, una sezione di lezioni da me svolte per un biennio di Conservatorio sull’Essenza del Suono. ”
(...) Quando Strawinsky dice: (…) il fenomeno della musica c’è dato al solo scopo di stabilire un ordine nelle cose, compreso, e soprattutto un ordine fra l’uomo e il tempo(…), egli ci obbliga ad approfondire e a riconsiderare gli elementi che da Strawinsky (e non solo!) sono considerati i pilastri fondanti della Musica: l’ordine del tempo nello spazio e la disposizione del tempo come “forma” ripetibile e comprensibile.
Questa dichiarazione di Strawinsky, che cioè, la dinamicità è intrinsica alla natura stessa dei suoni,non assomiglia alquanto alla definizione dell’animaesposta nel II° capitolo?
Ci possiamo allora chiedere:
1) È la dinamicità insita nei suoni stessi a determinare e imporre al compositore il loro ordine nel tempo? Oppure, è l’ordine in cui sono collocati dal compositore a determinare la loro dinamicità?
2) Oppure, è un loro predeterminato ordine nello spazio e nel tempo, uniti, a dare loro il senso di dinamicità?
3) Oppure è la struttura armonica, (tipica però solamente della nostra civiltà), tramite la disposizione di dissonanze e consonanze, a darci quel senso di moto e di riposo tipico dello scorrere del tempo musicale (il senso di desiderio e di appagamento ) ?
4)Oppure, nella mente di chi compone, ricettacolo di memorie genetiche e ataviche, tutto l’ordinamento avviene contemporaneamente? [49]
5) Oppure ancora, tutto è solo frutto delle nostre e-mozioni e la nostra percezione di esse? Cioè: È l’uomo stesso musica?

In “Suono e Simbolo”, Victor Zuckerkandl  [50]suggerisce un’interessante sintesi.


Percezione temporale “fisica”

Percezione temporale “musicale”
    
Il tempo è ordine, un tipo di esperienza
  
 Il tempo è il contenitore dell’esperienza

Il tempo misura gli eventi

Il tempo produce gli eventi

Il tempo è divisibile in parti uguali

Il tempo non conosce uguaglianza di
divisone

Il tempo è transitorietà perpetua
              (non si ripete mai)
          

Il tempo non conosce transitorietà
( è ripetibile)




(OMISSIS……………………)














XX
LA DIVINA PROPORZIONE
                                                                                             

L:
Propongo una serie di illustrazionlche non hanno bisogno di commento.


     

Uomo Vitruviano: Leonardo [51]              Fiore della Vita [52]                                                  Un violino




                                

                    Geometria  Sacra                                                                                                                     Mantova, Basilica di Sant’Andrea           
        
         

       Fibonacci proporzioni                                             Fibonacci: crescita delle piante ed alberi   [53]                                    Piramidi
                                                                                             




      
Altre forme vegetali ed animali


ed infine non poteva mancare….
           

E nuovamente è per puro caso che riappaiono quegli strani numeri nella disposizione della tastiera?


Prendiamo i numeri...
1 come nota fondamentale della tonalità;
3 come terzo grado (modale) e centro delle triadi fondamentali di ogni tonalità;
5 come quinto grado, dominante (perché armonico più vicino al suono fondamentale (Pitagora);
8 come numero di gradi di ogni scala diatonica;
13 come numero di gradi di ogni scala cromatica;

inoltre...che

8 / 13 = 0.61538 è una frazione vicina sia al π greco ed alla  sezione aurea;

E che vi sono...

5 tasti neri, divisi in 2 gruppi di 2 + 3,  e
      8 tasti bianchi in ogni ottava...

...???

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Prima di passare all'uso musicale di queste proporzioni con un esempio tratto dal repertorio musicale, vorrei partecipare con voi un lavoro che mi colpì tanti anni fa, dell'allora giovane laureato in architettura Paolo Cecchinelli, che trattava i parallelismi  fra le piante di cattedrali barocche e lo sviluppo della forma del violino …[54]

Paolo C.

“Il modello di partenza per i liutai potrebbe essere stata l’architettura; essa fu una fonte inesauribile di modelli di riferimento...e l’Italia dell’epoca tardo-rinascimentale e pre-barocca (periodo che coincide con i primi prototipi del violino), certamente non mancava di esempi! Ma soprattutto sono state le regole elementari del disegno, vale a dire le geometrie che sottendono l’architettura, quindi gli assi, cerchi elissi e le curvature policentriche dell’architettura a ispirare i primi liutai.


(OMISSIS……………………)



L:
Alla luce di questi esempi, ci possiamo chiedere: tutto ciò che è apparso, e che ci appare armonico, bello ed appagante, è frutto dell’ispirazionee dell’immaginazione di menti superiori, oppure volutamente, per creare queste strutture, anch'essi si sono appoggiati su i pilastri più sicuri di questi famosi rapporti numerici, di questa Divina Proporzione

Il dibattito infuria dai tempi in cui queste relazioni iniziarono a diventare la spiegazione per tutte le nostre reazioni, appagate oppure disturbate che ci muovonoquando al cospetto di un opera d’arte o d’architettura, oppure quando ci sentiamo rapiti durante l'ascolto di musica, oppure quando ci sentiamo sopraffatti da meraviglia davanti alla maestà di un Sequoia!
Sono esse la spiegazione?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Ritornando nel campo della musica, sappiamo con certezza che i compositori del XXmosecolo si sono volutamente rivolti alla loro magia, sfruttando (come nel caso dei numeri di Fibonacci) i rapporti proporzionali esistenti fra le altezza del suono, e le loro durate.

Sappiamo che, da Debussy a Bartók in poi, ne furono attratti molti compositori, non solo perché l'armonia e le pulsazioni ritmiche soddisfacevano il loro senso estetico, ma altresì per la loro flessibilità d'uso, diremmo la loro maneggevolezza meccanica.

Va ricordato però, che le proporzioni della sezione aurea si ritrovano altresì nelle strutture delle composizioni di molti compositori classici, il che ci pone innanzi ad altri interrogativi.  

Prenderò ad esempio una composizione di Debussy: L'Isle Joyeuse.

In questa composizione  si trova un uso del tutto particolare della sezione aurea. Debussy dimostra quantol'irrazionale si può piegare ad un uso razionale e viceversa (il che potrebbe essere adottata, a mio avviso, come una possibile definizione dell'Arte in generale!).




(OMISSIS……………………)

Queste proporzioni non sono solo il risultato del nostro modo di udire, di vedere e di costruire, ma ne sono, insieme, la causa e l'effetto![55]

Inoltre, attraverso i millenni, tutto ciò ci ha condizionato nella nostra quasi totale inconsapevolezza, ponendosi innanzi a noi in equilibrio instabile”! Dunque anche i numeri vivono “in bilico”

Ciò che costituisce il modello della natura,è stato dai matematicirappresentato da questi numeri cosiddetti “irrazionali”:il che ci riconduce all’ineludibile legge fisica delle  forze opposte e dualistiche(già numerose volte incontrata in queste pagine),e dell’inevitabilità dello stato di equilibrio instabile  in cui verte tutto ciò che si muove.

Questi (per me) sbalorditivi numeri, simbolidi proporzioni già esistenti, sicuramente continueranno a fare stupire ed innamorare per la loro bellezza ed armonia; la stessa bellezza ed armonia che ci circonda e che tutti, in qualche misura, nutriamo dentro di noi. Dentro e fuori, nello “spazio e nel tempo” le continueremo a ricercare “in leggerezza”, in“bellezza e libertà”; continueranno a“sedurci” per il loro “ordine” e per la loro “verità” mutevole, quanto varia. Essa è, a ragion veduta, denominata la “divina proporzione”.

Essaè il “Comune Denominatore” che, “come specchio retto alla Natura” unisce le innumerevoli“verità” che si sono sviluppate attraverso i millenni in altrettante ed innumerevoli discipline.

Potremmo dire che queste relazioni numeriche, (0. 61838 / 0,38462, la sezione aurea; il pi greco, π 3,14; e la serie di Fibonacci, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34),iniziano dallo stesso punto, avanzano ciascune nella propria individualità, si incontrano accordandosi periodicamente, si ri-allontanano e si rincorronodurante la loro corsa verso l’infinito”(se veramente esiste l'infinito!).
 Forse anch’esse ricercano un loro “Paradiso Perduto”?

L'artista ha scelto (oppure non poteva fare a meno di scegliere) queste forme armoniche, ma allo stesso tempo irrazionali,semplicemente perché esse gli assomigliano in tutto e per tutto. Gli assomigliano nella cultura della propria individualità, ma allo stesso tempo nella loro necessità di relazionarsi periodicamente ad altre realtà. Gli assomigliano nell'uso della  irrazionalità adoperata per costruire strutture razionali.

Gli assomigliano anche nel comune percorso verso una méta sconosciuta ma desiderata, un Paradiso Perduto mai raggiungibile?

Oppure, sarà raggiungibile?


CONCLUSIONE

Ripensando a questo immenso patrimonio lasciatoci in eredità dal passato - sicura guida per il futuro, mi trovo ad essere pervasa da due emozioni del tutto particolari e contrastanti: una di inadeguatezza davanti a tali giganteschi panorami, ed un'altra di appagante e totale senso di appartenenza!

L'armonia e la bellezza annullano i dubbi e la solitudine dell'Uomo.

Sono convinta inoltre, che tutto il necessario è già stato detto (ed anche di più)! A noi toccherà semplicemente svolgere degnamente e con amore il nostro ruolo. Il mistero rimane e rimarrà, ma il segreto si può intravedere. Le tracce delle civiltà sono un unico, immenso indizio. La grande partitura che le contiene ci lascia piena libertà di scelta, e la libertà di interpretarla con rispetto, ma senza timore.









ALTRI DIALOGHI

Delilah Gutman
D.G.:Ho appena letto “Il comune denominatore”. Esso dipinge lo sguardo che hai sempre rivolto alla musica attraverso l’osservazione e lo studio delle discipline che in essa si riflettono. Propone, in altra forma, il costante dialogo che hai cercato con ogni persona che sul tuo cammino incontravi, trasmettendo a ciascuno l’amore per la vita e per la conoscenza! Attraverso l’insegnamento della tecnica pianistica e della didattica musicale, ci hai guidato a cogliere ogni difficoltà e ogni ostacolo come un’opportunità per indagare, esplorare e percorrere la materia musicale quale proiezione ed espressione creativa e spontanea della dimensione dell’uomo più intima e inaspettata, del compositore e dell’interprete. E’ alla luce di questo lungo e rigoroso percorso, prima come allieva e poi anche come amica, che vorrei farti delle domande che riguardano il mio presente e in particolare l’esperienza che sto attraversando nel prepararmi a registrare un disco come cantante e come compositrice…Sorrido ripensando alle innumerevoli lezioni in cui per spiegare il respiro o il legato di una frase musicale cantavi per me e mi spronavi a comporre!
L: Per capire veramente, bisogna vivere le esperienze. Però mi fa piacere sapere che il concetto sia arrivato. Sicuramente penso che il mio canto non deve essere stato particolarmente inebriante!
D:Che cosa precisamente determina la “bellezza” del suono, e in quale misura può essere condizionata dall’anima? Ed il “silenzio interiore”, come influisce sulla bellezza stessa del suono?
L:L’anima è suono. Il fisico semplicemente lo rende udibile! Secondo quello che ho appreso ed esposto sull’Anima, ripeto: potrebbe essere proprio la quantità e qualità dell’ energia che ci viene donato al momento del concepimento a darci la propensione, l’orientamento verso la ricerca di bellezza, ma non è detto che ciò avvenga automaticamente. Magari! Sono altrettanto convinta che la  vera bellezza del suono di uno strumentista, come di un cantante, sia innato.
D: Che importanza riveste la ricerca e la variazione timbrica del suono rispetto alla “melodia” e alla “parola”?
La risposta è già nella domanda.
Anni fa, il mio Maestro a Firenze fu Paolo Rio Nardi. Egli mi riferì una frase di Beethoven, il quale suggeriva allo strumentista che dovesse affrontare le sue composizioni, di porre sotto ogni note della melodia, parole che avrebbero dovuto anche coincidere, nella metrica, nel  significato, e nel carattere, a quelle musicali della melodia stessa. Mi ricordo ancora questi testi improvvisati dal Maestro, che aveva un talento sbalorditivo per questo tipo di abbinamento!
È un concetto che feci mio, e tramite continui tentativi, arrivai finalmente a delle sensazioni (propriocettive!) che mi avvicinarono a ciò che tentavo di trasmettere: il cavo della mano e il cavo orale erano simili, e le dita agivano da lingua! Coordinandoli, sentii che potevano ottenere agilmente le stesse variazioni di colori e appoggi sulle vocali che otteniamo parlando, ed egualmente la dizionesibilata, labiale, dentale o scoppiettante delle consonanti.

(OMISSIS……………………)






Deborah Brunialti

D.B.:Ti ho da sempre percepito come uno spirito libero, ma attraverso gli anni me ne sono resa conto ancora più coscientemente.
Ho sotto mano il tuo libro “Il Comune Denominatore”, riassunto del tuo percorso. A proposito, avrei qualche domanda da farti anch’io. Ma vorrei che tu svelassi anche un’altra parte della tua vita, preziosissima, che io ho avuto modo di conoscere attraverso gli anni, fuori dall’aula, distante dal ruolo specifico d’insegnante, che collega in un cerchio il tuo passato al tuo presente ed al tuo futuro. Sei pronta?

L: Assolutamente.

D:Il segreto della tua libertà ha radici nella tua formazione o nella tua opera di continua ricerca?

L:
La mia formazione è, (per merito di due genitori diversissimi fra loro ma ciascuno a suo modo eccezionale), una miscela fra la disciplina ferrea, implacabile maamorevole di mia madre, e la leggerissimaragionevolezza e visionarietà di mio padre, il quale (visto a ritroso) aveva sicuramente siglato un patto di ferro con mia madre, la quale agiva sempre da Corte di Cassazione! Lo sguardo di mia madre, arguta fiorentina, alla quale non mancava mai la battuta spesso tagliente, ci trafiggeva come dei raggi X! Sapeva in precedenza ciò che io stessa non sapevo che avreipensato…Non complicava mai nulla. Era come una freccia diretta a bersaglio sicuro. In quarant’anni negli Stati Uniti, continuò testardamente a rivolgerci la parola soltanto in italiano, rimanendo saldamente ancorata alle sue tradizioni – pur amando e ammirando enormemente i grandi pregi di quel suo paese di adozione. Mamma aveva più radici che fronde.
Babbo invece, spesso la sera mi prendeva sulle ginocchia, facendomi lezioni di grammatica italiana (che sopportavo soprattutto per stare sulle sue ginocchia); ma quello che più amavo, era la serata in cui tirava fuori libri sull’arte italiana che mi spiegava con grande conoscenza. Egli aveva passato la gioventù in Inghilterra e in Francia svolgendo il suo lavoro di modellatore. Era un giramondo nato. Ho preso da lui la mia voglia di vedere sempre nuovi luoghi, nuove usanze.

Al Liceo ebbi degli insegnanti, come i miei genitori, rigorosi ma liberali. Che delizia, e come amavo andare a scuola (anche se non sempre ebbi vita facile)!
Tre erano i miei preferiti: la Preside, che mi prese nell’ufficio scolastico insegnandomi l’arte dell’organizzazione; l’insegnante di francese che, per prima, mi lasciò a gestire le sue classi quando doveva assentarsi, dandomi il mio primo assaggio d’insegnamento; e poi… un sacerdote Gesuita insegnante di filosofia. Il Padre gesuita m’insegnò anche a prendere le onde quando veniva al mare con noi. Ma ci insegnò anche una cosa , per me, fondamentale. Ci diceva, “Tutte le sere quando fate l’esame di coscienza (...e fin qui tutto era ortodosso...), dovete ripassare non ciò che avete fatto di male, perchè siamo destinati a peccare (...e pensai, meno male!), ma, neppure l’eventuale bene che potreste aver fatto (qui cominciai a rizzare le l’orecchie ed interessarmi...), ma di ciò che avete fatto oltre a ciò che è dovuto...!
Queste sono le ragioni per cui li ricordo, tutti, anch’oggi!

Ecco a grandi linee la mia formazione. Non vado oltre altrimenti scrivo la mia autobiografia, il che non rientra nelle mie intenzioni. Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, certamente non mi è stato permesso l’ozio, cosa che invece mi attraeva alquanto! Ho finito per studiare tanto. Sono convinta perciò, che senza questo tipo di esempio e di formazione non mi sarebbe neanche venuto il desiderio di investigare, di approfondire, di non essere mai soddisfatta o compiaciuta…me ne sarei stata nascosta nella mia casetta nell’albero a sognare!

D: Come si raggiunge il distacco? Attraverso la trasformazione o l’abbandono?

L: Perché distaccarsi? Il difficile sta nell’aderire a te stessa, a modellarsi, ad acquisire trasparenzaquesto sì. Non amo pensare alla divisione di me stessa.

D: Per vedere "oltre", è necessario togliersi dal centro del proprio universo?

L: Se hai veramente trovato il tuo centro, “vedere oltre”avviene automaticamente.

D:Una domanda sull’apprendimento. L’hai acquisito più per intuizione o per costruzione?

L: Se mi chiedi le dosi, la mia strampalata risposta è: 0.61538 di intuizione e 0.38462 di costruzione.  Oltre non so dirti perché sono ancora in fase di moto!

(OMISSIS……………………)



Paola Biondi
P.B.: So che hai avuto Maestri provenienti da diverse tradizioni.  Cosa ti hanno insegnato?
L: Veramente due di essi avevano radici musicale germaniche e centro europee abbastanza simili, e  Busoni, inevitabilmente, aveva influenzato tutti e tre.
Il primo, Francis Hendriks era anche compositore- il che mi portò dall’inizio a guardare la partitura in modo creativo, poco ortodosso.
Il secondo, Paolo Rio Nardi fu l’unico al quale mi affezionai veramente, e sono ancora in rapporti particolarmente amicali con la sua famiglia a Firenze (egli aveva studiato con Buonamici e Consolo). Aveva una visione cantabile, lirica nella sua impostazione (ne ho già parlato), molto italiana.
Ilonka Deckers (con la quale ho in effetti studiato poco più di un anno perché già avevo iniziato ad insegnare in Conservatorio), mi dischiuse le similitudini fra le tecniche violinistiche e pianistiche: i tocchi delle diverse articolazioni, i movimenti di collegamento (arcate) ecc. Era molto accademica, rigida, ciò che i miei precedenti maestri non erano mai stati. Ma è stato utile anche quello! Tendevo ad essere brada.

P: Ed i tanti musicisti di fama che hai avuto come amici personali, che cosa ti hanno lasciato?
L: Un patrimonio umano ed artistico ricchissimo e tanti meravigliosi ricordi. Joseph Szigeti mi disse una volta che ero capitata nel posto giusto, nel momento giusto. Gli Stati Uniti degli anni ’40 –’50 erano un concentrato di tutti i musicisti ed intellettuali scappati dalla guerra. Quel periodo fu a quei tempi chiamato il Modern Musical Renaissance.Quando poi finì la guerra, il flusso di ritorno in Europa fu altrettanto massiccio, ed anch’io venni in Italia alla fine degli anni ’50 per starci un anno, ed eccomi ancora qui.
Negli Stati Uniti (fino ai 21 anni) ebbi il modo di ascoltare in concerto gran parte dei grandi che fanno ormai parte della storia degli interpreti; come fui esposta alla musica del Novecento fin dai primi anni. Pensa, a mezz’ora da casa mia abitavano Rachmaninov, Heifetz, Rubinstein, Strawinsky, Schoenberg, Thomas Mann e tanti altri! Quando poi arrivai in Europa ne conobbi personalmente tanti! Mi considero privilegiata e fortunata.  (omissis)
Mi chiedi un possibile comune denominatore che li univa? Visione, modestia, lealtà. Mi hanno lasciato tutto questo, ed altro.
P: Cosa pensi del rituale del concerto nella nostra società? Ha ancora senso per come è strutturato o bisognerebbe modificare qualcosa?
L: Niente può rimpiazzare l’ascolto dal vivo della musica, specialmente in uno dei nostri magnifici teatri antichi; ma mi riferisco soprattutto all’opera e ai concerti sinfonici. Per la musica da camera preferisco le sale a dimensioni più ridotte.
Il regista Peter Brook ne parla, a proposito della voce e la sua intonazione in rapporto allo spazio. Richter negli ultimi anni non amava suonare in teatri con più di 200-300 posti, e certamente non per carenza di potenza di suono!
Perciò, penso che riportare un certo tipo di repertorio entro spazi umanie luoghi particolari sia un primo passo da compiere. Riportarlo nei salotti sembra che si stia già facendo anche negli USA.
In un periodo storico di invasione (onnipresente) della musica di sfondo, gli altoparlanti frastornanti dei concerti rock e la musica commerciale e stata distorta la generale percezione della prospettiva del suono. La nostra musica ha bisogno di raccoglimento e silenzi.

P:Quali sono gli ingredienti per creare un programma da concerto avvincente?
L: Bisogna tener in conto che quasi tutto è stato registrato, e considerare che il pubblico ha generalmente una concentrazione di solo media durata. Sarebbero impensabili oggi i concerti di fine ottocento o primi novecento che duravano un minimo di due ore!
Inoltre, non ci si può quasi più basare sulla novità di una composizione di per sé. Io, personalmente, cercherei  di creare dei programmi tipo albero genealogico. Guidare il pubblico verso il presente seguendo il naturale tracciatomusicale, non quello storico o peggio ancora, concerti monotematici o di singoli compositori (questo è già stato fatto e fu una fase assai noiosa persino per me, che di resistenza ne ho!)
P: Di che cosa c’è bisogno in questo momento?
Fede e spirito evangelico!

                                              













Valentina Messa
V.M.:
Mi sembra abbastanza strano porti delle domande. Ho sempre avuto la sensazione, quando venivo a lezione da te, che fossi tu quella che poneva le domande, spesso scardinando le mie solide certezze. Ora invece devi dare risposte ... e a me sembra di snaturarti! Ho finito di leggere una decina di giorni fa le tue pagine, e ho riflettuto su un aspetto: come si può' applicare tutto questo sapere nell'atto esecutivo? Come possono tutte queste informazioni essere veicolate dalla musica ed essere comunicate? 

L:
Debbono esserlo, sennò sarebbero state elucubrazioni intellettuali inutili. Fa parte del miracolo delle possibilità umane. Ma il solo fatto che ci si è posti domande, che siamo stati assaliti da dubbi, mezze certezze o da illuminazioni, spinti da curiosità rimaste soddisfatte o insoddisfatte, che abbiamo subito sconfitte o raggiunto mete e superato battaglie (su noi stessi, s’intende!), tutto questo di per se pone le premesse per l’eventualequalità dell’interpretazione. Non c’è nessun bisogno di veicolare niente! Sei tu stessa il veicolo!

Come esempio, mi rifaccio sempre e volentieri a due frasi: una buddista, e l’altra di Goethe. La prima dice “La pioggia non vuole piovere”; la seconda, “La giallezza del giallo sta nel suo essere giallo”!
Quello che ci fa percepire la fatica della sua attuazione è da ricercare nelle difficoltà psicofisiche che sorgono. Una volta superate la meccanica e la tecnica strumentale, diventa solo una questione di non interferenza.
V:
 Si, è vero, ma... perché ci sono esecutori che riescono ad entrare in comunicazione con il pubblico e vi sono altri che rimangono chiusi nella loro campana, pur essendo sensibili, colti e musicali? Oppure, l'efficacia dell'esecuzione è figlia di una dote innata, di una specie di "grazia"?

L: Assolutamente! É una grazia…divina.

                                   (OMISSIS……………………)










Marco Cecchinelli
Marco C.:
Anche a me, lo confesso, come a Valentina, risulta un po’ strano porti delle domande dopo che ho visto la gestazione e l’evoluzione del libro negli anni, il suo sviluppo antico e recente, e dopo averne già tanto discusso insieme a te.
Penso che quell’equilibro che sei riuscita ad ottenere parlando di argomenti così lontani e diversi tra loro è miracoloso nel suo insieme non tanto per l’ampiezza dei contenuti svolti (chi ti conosce bene non si meraviglia di questo certamente), ma anche per come sei riuscita a vincere quella sorta di riserbo che hai sempre avuto nel fissare per iscritto quel che riguarda il lavoro specifico dello strumentista, del musicista e dell’artista nel suo insieme.
Ho inesauribili ricordi di giornate e serate passate con te parlando di musica, di arte, di vita. Leggo però dall’intervista con Paola, che hai nominato solo di sfuggita personaggi che sono diventati ora leggendari e che magari hai conosciuto in circostanze particolari. Potevano anche essere controversi nel carattere, ma che ricordavo essere stati per te ugualmente formativi e insostituibili come Artur Rodzinski, Arturo Benedetti Michelangeli, la giovanissima Martha Argerich,  Alicia de Larrocha e tanti  altri...
L:
Mi dovrò limitare alle prime memorie che possono in qualche modo tracciare anche una (pur approssimativa) idea dei personaggi.
Artur Rodzinsky
Fu una conoscenza iniziata da mio marito (prima addirittura che io stessa l’avessi incontrato) a Firenze.
Eravamo sposati da poco quando arrivò una telefonata proprio dal Maestro. Egli doveva andare in USA per dirigere il Tristano, e gli era venuto il capriccio di andare per nave in occasione del viaggio inaugurale dell’Andrea Doria; inoltre, avrebbe desiderato la suite centrale di prima classe – il tutto dieci giorni prima della partenza!! Un desiderio fuori dal mondo.
Finì che mio marito l’ottenne tramite non so quale amicizia. Ma la cosa che rende ancor più unica la storia è come uscì l’idea di chiamare proprio mio marito. Ed è questo che definirà le caratteristiche fondamentali dei personaggi coinvolti. La storia ci fu raccontata da Halina stessa.

La seconda moglie Halina era nipote di Wieniawsky, bellissima ed ottimista, quanto Rodzinsky era bisbetico e pessimista. Quando il marito le annunciò il suo capriccio della nave, Halina tirò fuori la sua rubrica festosamente dichiarando, “Vedrai, che io aprirò a caso l’agenda ed uscirà la soluzione!”, naturalmente riscuotendo la totale incredulità del Maestro. Ella aprì spavaldamente il libricino e disse: “Ecco. Te l’avevo detto. L’Avvocato Domenico Arcuri di Genova!”
Passammo una serata indimenticabile e l’accompagnammo in cabina la mattina seguente (allora era ancora possibile!). Ci offrì uno Scotch(alle dieci di mattina, che dovemmo per forza ingollare!), e congedandoci ci fissò, e lugubremente dichiarò, “Questo Tristano mi ucciderà.”

Avemmo notizia della sua morte che era avvenuta dopo la seconda recita.
Halina ci mandò un 33giri In Memoriam.


(OMISSIS……………………)





Piero Rossi, ingegnere (ed ex allievo)

P.R.:
Anzitutto grazie per l’ennesimo regalo che ha fatto ai suoi allievi! La scelta di fare una libro in forma di dialogo è deliziosa proprio perché la conversazione è talmente spontanea che sembra proprio di averla “dal vivo”.
Parlando di Comune Denominatore, non pensa che ci sia ancora tanto da esplorare nel campo del rapporto tra musica e medicina? Mi riferisco in particolare all’utilizzo delle svariate capacità spesso utilizzate dallo strumentista, e carenti nei dislessici, che potrebbero aiutarli?
E poi, studiando più a fondo anche il rapporto tra il mondo vegetale e la musica non pensa che avremo delle belle sorprese?

L:
Già i Greci antichi conoscevano la forza della Musica, e la usavano come terapia e formazione etico/morale dei loro giovani cittadini (sembra che siano stati i primi a farlo). Oggi perciò, non dovrebbero sorprendere ulteriori approfondimenti in questo campo. Ci siamo solo scordati della necessità della musica come elemento formativo; e se non ce ne siamo scordati individualmente, socialmente tale necessità è stata (quasi) totalmente ignorata.
Quanto al mondo vegetale, so di molte aziende vinicole che, inondando i campi di musica di Mozart e continuando ad impiegare questo inusuale trattamento durante la maturazione del vino nelle cantine, ottengono un'altissima percentuale in più di rendimento e di qualità.
Pare che Mozart, sia apprezzato anche nel mondo animale: le galline, per esempio, mostrano il loro gradimento facendo più uova! Non ho notizie sul livello di gradimento di altri compositori...

(omissis...)


P:
L’uomo ed il tempo.
Senza altri fronzoli,  diciamo che il tempo esiste solo se c’è un essere umano. Facciamo un esperimento per definire meglio questo “tempo giusto”.

Prendiamo due pianisti e gli facciamo eseguire lo stesso brano: uno lo spariamo con il suo pianoforte nello spazio su una navicella che viaggia alla velocità della luce mentre l’altro lo lasciamo a terra. Per la relatività il tempo, nella navicella che viaggia alla velocità della luce il tempo “trascorre più lentamente”. Il risultato è che quando la navicella torna a terra mentre il pianista che è rimasto a terra ha finito di suonare l’altro sta ancora suonando (addirittura i due pianisti invecchiano diversamente…..). Il tempo è trascorso diversamente a seconda se si è “fermi” a terra o se si sta viaggiando alla velocità della luce.
Ora facciamo un altro esperimento ed invece di sparare un pianista nello spazio sistemiamo una PARTITURA nella navicella e la spariamo come prima alla velocità della luce: il tempo proprio o intrinseco della partitura non varia sia a terra sia sulla navicella e rimane comunque come il rapporto tra la figura musicale e la sua più piccola unità. Abbiamo trovato un “tempo assoluto”: la partitura definisce un tempo al di la del tempo umano. (Nota: i pignoli potrebbero dire che, per la relatività di Einstein, alla velocità della luce si contraggono le lunghezze, e quindi si contrae la partitura; però questo non inficia il mio ragionamento in quanto il tempo proprio lo ho definito come rapporto tra figura musicale ed unita musicale, rapporto che non cambia al variare delle lunghezza della “carta” della partitura).

L:
No, Piero... per favore non prospettarmi queste situazioni surreali, è già così difficile fare tutto rimanendo sulla terra!

 P:
Infine voglio dare risalto ad un suo insegnamento che mi lanciò così “en passant” che di fatto ho sempre in mente: “...quando hai più cose da fare, non abbandonarne una parte, ma al contrario, aumenta l’impegno per farle tutte nel modo corretto”.

L:
Davvero ti ho insegnato una cosa talmente difficile? Sarebbe mica il caso di scusarmi con te?




Una lettera dall’Australia


Cara Lidia,
           
Correva l’anno 1978. Era di gennaio, mese durante il quale la “Music Teacher’s Association of New South Wales” teneva regolarmente annuali Corsi di Abilitazione ed Aggiornamento per gl’insegnanti di pianoforte. Grazie al Prof. Warren Thomson, OA., e alla sollecitudine di Hephzibah Menuhin, venisti per la prima volta a Sydney.
           
Sicuramente tutti i segni zodiacali si incrociavano e si univono alla perfezione anche per me, perché dopo il primo giorno seppi, e decisi, che avrei dovuto trovare il modo di studiare con te.

Anche la mia vita personale stava subendo un cambio di marcia, e l’aiuto e  soluzione per me e per due mie colleghe Beryl Potter e Kerry Evans venne da Rex Hobcroft, allora Direttore del Conservatorio di Sydney.
           
Quell’anno sbarcammo ai primi di novembre per dodici settimane ed iniziammo quella che diventò una particolarissima invasione australiana dell’Italia mirata a Genova. Fu anche l’inizio d’un amicizia fra tutti i partecipanti che dura fino ad oggi.
           
Ciò che ci rivelasti divenne un arricchimento non solo nella nostra comprensione dello strumento e della Musica, ma altresì un illuminazione per l’identificazione di causa ed effetto. In seguito a questa nuova consapevolezza, abbiamo acquisito maggiore efficienza nell’educazione dei nostri studenti.

Inoltre, la tua insaziabile ricerca di bellezza e verità,  tramite una lettura totale della partitura, è stata per me un’ispirazione che, in seguito, si è ampliata e rinforzata dopo ogni mia visita in Italia. Durante la più recente di queste visite ho avuto anche il privilegio di fare una prima lettura del tuo libro Il Comune Denominatore. Le conversazioni che ne sono scaturite mi hanno, come sempre, ulteriormente illuminata.
           
Il valore della Musica nella mia vita è stato incommensurabile. Ringrazio che tu ne sia stata una parte così importante.

Prof. Meriel Owen,
A.Mus.A., L. Mus., D,S,C,M,




(OMISSIS: Glossario; Uno Schema Metodologico)



[1]    Nella filosofia tedesca ottocentesca “Erlebnis”. Per i Greci anti chi: “Logos”.
[2]    Milan Kundera. “La Insostenibile Leggerezza dell’Essere”. Edizione Gli Adelphi, 1989. (trad. A. Barbato, B. Diena)
[3]   Italo Calvino, “Lezioni Americane: sei proposte per il prossimo millennio”; ed. Garzanti, 1989
[4]             Annalisa PerissaTorrini. Curatrice del catalogo “ Leonardo, L’UomoVitruviano fra Arte e Scienza”. Mostra Galleria dell’Accademia, Venezia. 2010. Marsilio Ed. (p. 36)
[5]    Victor Zuckerkandl, “Sound & Symbol, Music and the External World”, ed. Bollingen Series XLIV, Princeton University Press, 1956/1969/1973. cit.
[6]    Marko Ivan Rupnic, Dire l’Uomo, Vol I, Ediz. Lipa
[8]    Giuseppe Ungaretti, “Vita d’un Uomo, Saggi ed Interventi”; I Meridiani, editore A. Mondadori. “Commemorazione del Futurismo” (1927). Qui Ungaretti parla della macchina come perfetto esempio di ansia di perfezione dell’umanità  occidentale in tutte le sue manifestazioni.
      .
[9]    Vedere Glossario.
[10]  Vedere Glossario
[11]  Termine belissimo usato da Eugenio Barba. (“L’arte segreta dell’Attore: Un dizionario d’antropologia teatrale”; ed. Ubulibri)
[12]  Jacques Lecoq, “Il Corpo Poetico”, ediz. Ubulibri, Milano, 2000
[13]  Cesare Augusto Tallone, grande costruttore di pianoforti, usava scrivere sui muri della sua Villa sul Lago d’Orta questi motti che servivano da quotidiani ammonimenti. Anche in lui pulsava quest’imperante aspirazione di liberarsi dai ceppi quotidiani per librarsi verso i suoni provenienti dall’universo.

[14]  Tuffatore
[15]  Johann Joachim Quantz, “On Playing the Flute”, orig. tedesco, ediz. IngleseFaber & Faber, London 1966
[16]   Eugenio Barba. (“L’arte segreta dell’Attore: Un dizionario d’antropologia teatrale”; ed. Ubulibri)

[17]  Chiara Cappelletto, “Neuroestetica: l’Arte del Cervello”; Ed. Laterza,Roma-Bari, 2009
[18]  Jacques Lecoq, “Il Corpo Poetico, un insegnamento della creazione teatrale”,orig. francese, trad. Renata Mangano, ed. Ubulibri, Milano. 4° ediz. Dic. 2006

[19]  Dott. A. Tondi, “Dispense di Cinesiologia”, Istituto Superiore di Educazione Fisica della Lombardia, Milano (gentilmente concessi dal Dott. Roberto Sassi, Prof. Di Scienze Motorie).
[20]  Otto Ortmann, “The Physiological Mechanics of Piano Technique”; Da Capo Press,reprint of the 1929 edition, New York,1981
[21]  Mi fu riferito da Sir John Barbirolli che Horowitz, suo caro amico, distante dai palcoscenici da anni, gli annunciò che stava studiando le Sinfonie di Beethoven; aggiungendo “Quanto è difficile fare il clarinetto!

[22]  Cit. Annalisa Perissa Torrini. Curatrice Catalogo”Leonardo. L’Uomo Vitruviano fra Arte e Scienza”;  pag. 36.
[23]  Eugenio Barba, “L’arte segreta dell’Attore: Un dizionario d’antropologia teatrale”; ed. Ubulibri
[24]Dario Fo, cit. “Manuale Minimo dell’Attore”: “…ma attenzione, il giorno in cui ci si è appropriati di tutta la tecnica possibile, bisogna imparare come, dove e quando applicarla, e soprattutto imparare anche a farne a meno (…) Quindi, imparare a buttar via il superfluo, il che significa economia, e un’altra volta, sintesi e stile. (…) Il vero applicato all’immaginato è falso…e anche fastidioso. Quindi, per ottenere un effetto credibile, bisogna manipolare la realtà. ”

[25]  Franco Fornari, “Psicoanalisi della Musica”. Longanesi, Milano. 1984
[26]  Giovanni Guanti. “Romanticismo e Musica. L’Estetica Musicale da Kant a Nietzche”. EDT Music, Torino, 1981. pag. 212; cap. “Schopenhauer e la Musica”, da “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione”.
[27]  Publio Ovidio Nasone. (43 a. c. – 18 d. c. ) “Le Metamorfosi”. Poema epico-mitologico in XV libri. (18 d. c. )
[28]  Alfred A. Tomatis. “Ascoltare l’Universo. Dal Big Bang a Mozart”. Trad. L. Merletti; Dalai Editore, 1998
[29]  Alfred A. Tomatis. “Ascoltare l’Universo. Dal Big Bang a Mozart”. Trad. L. Merletti; Dalai Editore, 1998
[30]  Tito Lucrezio Caro. (? Pompei o Ercolano, 99 a. c. – 55 a. c. ). Poeta e filosofo romano della scuola epicurea. “De rerum  Natura”.
[31]  Cit. , Franco Fornari, “Psicoanalisi della Musica”. Longanesi, Milano. 1984
[32]  Andrew Barker. “Psicomusicologia nella Grecia Antica”. Università degli Studi, Salerno. Quaderni del Dipartimento di Scienze dell’Antichità. A. Guidi, ed. , 2002
[33]    Eugenio Barba, idem.
[34]  Jacques Lecoq, “Il Corpo Poetico”, ediz. Ubulibri, Milano, 2000
[35]  Otto Ortmann, idem.
[36]  Prof. A. Tondi, nelle sue “Dispense di Cinesiologia” reitera un concetto fondamentale per ogni tecnica motoria: “…Uguale per intensità, ma opposta per direzione”.
[37]  Margaret Livingstone, “Vision and Art: the Biology of Seeing”, Harry N. Abrams,ed. New York, 2002
[38]  Jonah Lehrer, “Proust era un neuroscienziato”, Codice edizioni, Torino, 2008.
[39]  Apollonio Rodio, poeta greco, (295 a. c. – 215 a. c. ); “Argonauti”
[40]  Egon Sendler, “L’Icona: immagine dell’invisibile“, ediz. San Paolo, Milano,2001.
[41]  Paul Hindemith, “A Composer’s World: Horizons & Limitations”; ed. Peter Smith, Gloucester Mass. U. S. A. , 1969.
[42]  Johann Joachim Quantz; cit.
[43]  William Shakespeare: “Amleto”; ed. Mondadori, I Meridiani, ott. 1977; trad. Eugenio Montale
[44]  Vedi Glossario
[45]  Giuseppe Ungaretti: “Vita d’un Uomo - Saggi e Interventi”, ed. Mondadori, I Meridiani, 1974; capitolo “La poesia contemporanea è viva o morta?”
[46]    William Shakespeare: “Dodicesima Notte”; introduzione: Orazio Costa Giovangigli: “Struttura Drammaturgia”; ed. Mondatori, I Meridiani, 1° ed. 1982, Milano.
[47]  Stephen Hawking: “L’Universo in un guscio di Noci”;trad. Paolo Siena, Osca Mondadori, Milano, 2002;
[48]  Stephen Hawking. “La Grande Storia del Tempo”. Cit.
[49]     W. A. Mozart: da “Lettere”… Tutto ciò m’infiamma l'anima, e se non sono disturbato, il soggetto s’ingrandisce, diventa definito e organizzato, e tutto l’insieme, anche se lungo, si dispone quasi completo e finito nella mia mente, in modo che in un unico sguardo, lo posso contemplare come un bel quadro o una bella statua. Nella mia immaginazione poi, non odo le sezioni in successione, ma addirittura le odo contemporaneamente (gleich  alles zusammen).

[50]  Victor Zuckerkandl, “Sound & Symbol, Music and the External World”, ed. Bollingen Series XLIV, Princeton University Press, 1956/1969/1973. cit.


[51]  Leonardo da Vinci. ( Vinci, 1452 -  Amboise, 1519). Pittore, ingegnere, scienziato Rinascimentale. Riconosciuto come fra i più grandi genî di tutti i tempi.

[52]  Una figura geometrica, simile ad un fiore, costituita di cerchi multipli sovrapposti e sistemati in una simmetria esagonale. Apparso per la prima volta nel 645 a. C., questa figura venne usata dagli  Egizi, Maya,e  nell’architettura gotica e rinascimentale. Da sempre è considerato simbolo sacro. È stato adottato dai musicisti anche nello studio degli  armonici  e della forma musicale.
[53]    Leonardo Pisano (detto Fibonacci). (Pisa, 1175 – Pisa, 1240 ca. ). Matematico. Dopo lunghi viaggi in Oriente, venne in contatto con antichi trattati indiani ed arabi. Partecipò alla rinascita delle scienze esatte nel tardo Medioevo.
[54]  Prof. Paolo Cecchinelli. “La forma del violino: Ipotesi Geometriche della cassa armonica mediante le proporzioni e la sezione aurea”.1998
[55]  Riferirsi ad articolo di Stockhausen

Kazan 1986: Farit Gubaev (fotografo)

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Il Blog per il centenario della nascita di Sviatoslav Richter

Kazan 1986

"Ai piedi del genio..."


Fotografo


ФАРИТ ГУБАЕВ: «В НОГАХ У ГЕНИЯ…»

••●●

Con N.Zuravleva alla destra di Richter.  F.G.

Kazan 1986. Per gli amanti della musica classica ed un fervente ammiratore del talento musicale di Richter, quell'anno fu particolarmente memorabile. A Kazan, il musicista geniale tenne un recital. Non mi consideravo tra gli ammiratori del suo talento: a quel tempo non conoscevo granché dell'arte esecutiva del celebre musicista, ma sapevo del suo carattere schivo e complesso. Mi convinsi, ero consapevole che non fosse affatto semplice raggiungerlo, ma ero appassionato del lavoro che facevo e, se fossi arrivato, in qualche modo avrei cercato di scattare inosservato delle foto dalla sala. Dunque, sono in una sala affollata. Risuonano i primi accordi in un silenzio assoluto. In quel silenzio tombale, sarebbe risultato estraneo ogni suono non fosse stato musicale. Lo capii da subito. Per l'intero concerto la mia macchina fotografica giacerà sul mio grembo, non ci sarà alcuno scatto. Solo durante il fragoroso applauso finale mi precipitai nelle vicinanze per fare dei click, di tutta fretta. Ma già (Richter) non c'era... Senza veramente credere nella fortuna, andai dietro le quinte, verso il camerino di Richter. Trovai una scappatoia, non dovevo mollare, si trattava d'una celebrità. Per fortuna ero il solo che postava vicino alla sua porta, così ansioso d'incontrare il musicista. Ora non ricordo quali furono le mie parole, ma convinsero il guardiano e mi lasciò rimanere vicino alla preziosa porta. L'importante sarebbe stato: ...starmene tranquillo ma attento, a qualche passo dalla stanza, e pronto ad inquadrarlo. L'obiettivo principale era quello di cogliere Richter di sorpresa. A vederlo così impassibile, scultoreo, sembrava fosse ancora lì sul palcoscenico.


Sembrava immerso ancora nella sua meravigliosa musica. Con quel silenzio che regnava nella stanza avevo paura disturbare persino i suoi ospiti. L'espressione dei suoi occhi mi folgorarono di indignazione, mentre se ne stava seduto ed io cercavo sfacciatamente di fotografare il genio. Ma l'occasione non poteva mancare. Mi sembrava che, in quei momenti, i click fossero assordanti. Il viso di Richter fece una smorfia, mentre perplesso mi guardava. Subito mi scusai, spiegando che erano per la stampa locale. Come risposta, aspettandomi delle dure critiche, ebbi invece un grande ed inaspettato bel sorriso di Richter, che approvando mi chiese in modo molto gentile una sola cosa: "È possibile, rispettabile fotografo, fare una foto-ricordo con il suo consenso". 
Con sollievo,  io annuii. Richter si spostò, e tutti cercarono di posare nel giusto modo. Qualcuno si sedette per terra, ai piedi del Maestro (vedi sopra)E così furono tutti contenti e felici! Ed io sono stato, in quel momento, il fotografo più felice di Kazan.

Testo e fotografie di Farit Gubaev


Trad. non profess. dal russo, ad uso personale, di C.G. Dove possibile viene indicata sempre la fonte *[ vedi link F.G.] Tutti i diritti sono riservati ai legittimi autori ©

Judina e Richter - Pasternak

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Ирина Николаевна Mедведева - Томашевская
J  u  d  i  n  a  e  R i c h t e r  -  P a s t e r n a k

(Testimonianza  sull'esequie di Boris Pasternak)

Irina N. Medvedeva - Tomaševskaja



Irina N. Medvedeva-Tomaševskaja, 1903 - 1973


Irina N. M-Tomaševskaja a Lidija Korneevna Čukovskaja

Lettera - 1972
"... Sostituire Judina a Richter, - é davvero impossibile. (M)Judina suonò senza mai fermarsi per tutto il mattino, mentre Richter venne poco prima del
sollevamento (partenza della bara scoperta,  ndt.)  e suonò, se ben ricordo, due brani di Bach *]. Egli aveva già scelto, aveva pensato cosa avrebbe suonato. Richter adorava Pasternak e, diciamo tra parentesi, il fatto che decidesse di partecipare alla sepoltura è stato così ben visto e approvato dalle autorità, a tal punto che erano tentati di condizionarlo. (Sta di fatto che Richter è succeduto alla Judina solo per una volta, mentre poi, mischiato alla folla, è rimasto a lungo sulla tomba - lo ricordo assai bene, poi tornai con lui verso l'auto). Penso, tuttavia, che a suo modo Maria Veniaminovna Judina abbia voluto rimanere in disparte. Così è successo che i due celebri pianisti hanno suonato - ma come si può leggere - sono stati invitati. Non di meno, è stato un atto tangibile d'amore, d'ammirazione e di poesia e, allo stesso tempo - un atto pubblico, assai profondo, importante. Le stesse autorità l'avranno sospettato."


Лидия Чуковская, Записки об Анне Ахматовой. Vol. 2. Rubooks.org 
Trad. non profess. dal russo, ad uso personale, di C.G. Dove possibile viene indicata sempre la fonte. Tutti i diritti sono riservati ai legittimi autori ©*]é possibile che Irina M-T. confondi i brani eseguiti da Marija Judina, o piuttosto da Andrej Volkonskij, con quello eseguito da Richter, nel momento in cui iniziò a uscire dalla dacia Boris Pasternak (Marcia funebre, dalla Sonata op.26). Si veda la nota in calce di un articolo di Enzo Biagi dedicato ad Olga Ivinskaja: nota di Valerij Voskobojnikov, peraltro presente alla Dacia di Peredelkino.

Una curiosità: Sembrerebbe, secondo i diari di Lidija Korneevna Čukovskaja, che Maria Judina e Richter si fossero già "sfiorati" nel 1956:      27 Settembre '56"... Cos'altro? La domenica mi ha chiamato Akhmatova per dirmi che Pasternak la voleva a Peredelkino. Ma io non potevo andarci - affatto, avevo troppo lavoro, fino alla gola - infatti, iniziai uno sgradevole trasloco d'una gran quantità di cose. Poi, alla vigilia della partenza per Leningrado di Akhmatova, mi sono incontrata con loro, con Natasha Ilina e Akhmatova, ed abbiamo parlato d'uno tra gli avvenimenti più importanti accaduti da queste parti: Richter venne prima di pranzo, mentre dopo pranzo la Judina, in seguito ascoltammo dei versi dell'ospite. - Bravo (in italiano, ndt.) - esultai. - Ma no, sono stanchissima, - mi rispose Akhmatova. - Mi dispiace, è difficile per me". [..]
 


Trad. non profess. dal russo, ad uso personale, di C.G. Dove possibile viene indicata sempre la fonte. Tutti i diritti sono riservati ai legittimi autori.©


Internationals magazines: BBC MM/CLASSICA/PIANISTE/DIAPASON 4/2015

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I n t ernationals                       M a g a z i n e s
  di Giorgio Ceccarelli-Paxton                                                                                         







PREMESSA

Pensavo che dopo i fuochi d’artificio del primo bimestre (cofanetti Sony e Universal) vi sarebbe stata una serrata continuazione di nuove uscite discografiche da parte di altre case, ma mi sbagliavo. Le Melodia tace stranamente, altre piccole etichette sonnecchiano e allora le cose più interessanti di questo secondo bimestre dell’anno richteriano 2015 sono presenti in alcune riviste specializzate, a cui darei la precedenza nella presentazione, mettendo in seconda linea le uscite di dischi.

Come sempre, e probabilmente per sempre, sono profondamente in debito con Davide Ciaccia per tutto il materiale qui riportato, per informazioni, indicazioni, suggerimenti, notizie ecc.ecc.ecc.



BBC MUSIC MAGAZINE – MARCH 2015

Omaggio reso dalla rivista inglese al grande Slava, con un cd allegato al numero di marzo 2015.
A pagina 7 della rivista c’è un brevissimo articolo riprodotto nella foto con l’elenco dei brani contenuti nel cd. A mio modesto avviso Richter avrebbe meritato qualcosa di più di una paginetta, ma si sa che io sono di parte.
Piuttosto desta sorpresa lo stratosferico errore di attribuzione dei brani contenuti nel cd al concerto di Londra, Royal Festival Hall, dell’11 maggio 1969. In realtà Beethoven, Schumann e Chopin furono eseguiti il 20 ottobre 1968 (città e luogo esatti), mentre l’Image di Debussy viene dal concerto dell’ 8 ottobre 1969 alla Free Trade Hall di Manchester.
L’errore è ancora più marchiano se si considera che proprio la BBC aveva edito quelle interpretazioni nel cd BBC BBCL 4090-2 (Beethoven, Schumann, Chopin) e nel cd BBC BBCL 4222-2 (Debussy), attribuendovi le date corrette.
Nonostante tutto va dato un plauso a questa rivista, considerando che altre riviste specialistiche non si sono nemmeno ricordate dell’anniversario del centenario della nascita. Mi riferisco, tanto per non fare nomi, a Gramophone.



CLASSICA – AVRIL 2015 nr. 171


Ridenominazione de Le Monde de la musique, il numero di aprile della rivista si segnala per un referendum tra i lettori che sono stato invitati a scegliere il loro pianista preferito. Non so quanto tempo sia durato il “jeu”, come lo chiama simpaticamente la rivista, se vi fosse già in partenza una rosa designata di pianisti selezionati e quanti lettori vi abbiano partecipato, e soprattutto il distacco – per usare un termine sportivo – tra un pianista e l’altro. Sta di fatto che il numero Unoè risultato, ancora una volta, Sviatoslav Richter. 
Ancora una volta perché nel settembre 1999 (secondo un sondaggio effettuato dalla rivista inglese Classic CD fra critici e pubblico) Richter era emerso non solo come il più grande pianista del ‘900, ma, più in generale, come il più grande interpretetout court, comprendendo in questa categoria non solo i pianisti ma anche tutti gli altri artisti, sia strumentisti sia direttori d’orchestra.
A distanza di 16 anni dal sondaggio della rivista inglese, a distanza di 18 anni ormai dalla sua scomparsa, Richter si staglia ancora come il pianista più considerato, più amato, più venerato dal pubblico e dalla critica.
Per chi avesse la curiosità della “graduatoria” emersa dalle votazioni eccola qui:

1 - Richter
2 - Brendel
3 - Gould
4 - Argerich
5 - Rubinstein
6 - Arrau
7 - Pollini
8 - Horowitz
9 - Haskil
10 - Cziffra

La rivista cita anche altri pianisti che hanno avuto una buona quantità di voti dai lettori: Michelangeli, Zimerman, Kissin, ecc. ecc. con diversi artisti francesi, come logico.
Ognuno dei dieci pianisti succitati ha avuto l’onore di un commento da parte dei redattori della rivista, più o meno lungo, più o meno azzeccato. Da segnalare assolutamente è l’articolo di Olivier Bellamy su Richter (vedi scansionamento), che trovo bellissimo.








PIANISTE – AVRIL 2015 nr. 91


Contiene un articolo di circa 10 pagine con foto e schede (vedi scansionamento) intitolato Monstre sacré. Alcune foto molto belle, altre già viste. L’articolo non contiene nulla di nuovo, ma solo citazioni dal libro di Youri Borissov Du côté de chez Richter (Actes sud 2008). Il libro è molto bello e, per chi non lo avesse letto, i brani riportati nella rivista sono un sicuro stimolo ad acquistarlo e leggerlo integralmente. Il libro originale è stato scritto ovviamente in russo e poi tradotto in francese; la traduzione italiana non esiste, ma d’altronde non esiste alcun libro straniero su Richter tradotto in italiano, nemmeno il “Richter, Ecrits, conversations” di Monsaingeon!
Unica eccezione “In viaggio con Sviatoslav Richter” di Valentina Čemberdzij.
Complimenti a chi cura il lascito artistico del Maestro.




P.S Dopo aver scritto questa nota ho appreso da Davide che la traduzione italiana del libro di Monsaigeon sarà presto in libreria per“Il Saggiatore”. Lascio inalterata la mia indignazione su espressa, limitandomi a dire “Era ora…dopo quasi venti anni dalla morte”.























DIAPASON – AVRIL 2015 nr. 634
 

Interessante coppia di articoli, uno di Laurent Marcinik (Richter par lui-memê) e Bertrand Boissard (Richter par les autres) su questo numero dell’ottimo mensile francese Diapason.

Soprattutto il secondo ci da conto del parere di altri artisti: Luisada, Ranki, Muti, Lugansky, Aimard e del produttore discografico Jacques Leiser (tra i collaboratori di Monsaingeon nel video Richter l’Insoumis).

Tra parentesi noto come solo le riviste specialistiche francesi abbiano omaggiato il centenario richteriano. Qualche vagito dall’Inghilterra (BBC Music Magazine), silenzio assoluto dall’Italia. Bene.



La rivista propone oltre agli articoli anche un binomio di cd omaggio, anch’essi interessanti. Il primo (cfr. scansionamento Les indispensables de Diapason ) riporta delle registrazioni in studio a Salisburgo del 1972 (Schubert) e 1971 (Schumann e Brahms). Tali esecuzioni sono facilmente reperibili su altre etichette e sono ormai ben custodite negli scaffali di tutti gli appassionati.

Il secondo cd invece (cfr. scansionamento Diapason d’or) è molto interessante. C’è infatti il Quintetto per piano e archi op.34 di Brahms in una esecuzione moscovita in studio del 1958 insieme con il Quartetto Borodin. Tale esecuzione viene erroneamente pubblicizzata dalla rivista come la prima uscita in compact disc. In realtà la prima pubblicazione in cd si ebbe sul giapponese VICTOR VICC 2123 e più recentemente su ANDROMEDA ANDRCD 5119 e VENEZIA CDVE 04398. Rimane però il fatto che il giapponese è piuttosto datato e difficilmente reperibile come anche il Venezia, etichetta russa che appare solo in Giappone e subitaneamente scompare. L’Andromeda è una piccola etichetta italiana (credo) con una diffusione limitata.

E’ dunque vero che questa pubblicazione della rivista francese – anche se non una primizia – copre una latenza distributiva piuttosto sensibile.
    
























MINUET - 428404

Curiosa pubblicazione di una nuova etichetta – Minuet Records – la cui provenienza, a parte il “made in the EU”, non sono riuscito a individuare.
Non so se usciranno altri cd richteriani e non, ma indubbiamente di questo non se ne sentiva la mancanza. Infatti si riproducono, inalterate a parte il dichiarato “24-bit remastered”, le beethoveniane “Appassionata” e “Marcia Funebre” dai concerti del novembre 1960 a New York, più volte edite dalla RCA sia in vinile sia in cd, ultima delle quali nel recentissimo cofanetto della Sony. Vi è inoltre il Concerto nr.5 di Prokof’ev con l’Orchestra Filarmonica di Varsavia guidata da Witold Rowicki, esecuzione in studio da Varsavia 1959, anch’essa pubblicata molto spesso da Deutsche Gramophon.
Stride la banalità di questa emissione (per quanto riguarda la scelta dei brani ovviamente, non l’aspetto artistico – ricordo che questa esecuzione dell’Appassionata ha spaccato in due parti la storia dell’interpretazione di questo brano: il prima-di-Richter e il dopo-Richter) con la cura con cui il libretto accompagnatorio è stato progettato. Buona la sintesi biografica di Josh Tenenbaum, interessante la riproposizione integrale delle note dell’originale LP della RCA, belle le due citazioni sulla back-cover del libretto, una di Richter, una di Marlene Dietrich (vedi scan), d’altronde già presentate su questo blog.




PRAGA DIGITALS – PRD/DSD 350 081 – LISZT – RECITAL II
Per evitare l’inevitabile mal di testa che ogni emissione della Praga produce in chi vuole controllare la correttezza delle informazioni fornite nel libretto accompagnatorio, do per scontato che questa volta le attribuzioni delle date e dei luoghi siano giuste, tranne un paio, come vedremo.


Ecco l’elenco dei brani:


1/2. Scherzo e Marcia        da Mosca 9.5.1957
3. Mephisto Waltz nr.1       da Mosca 5.2.1958
4. Ave Maria                  da Mosca 9.5.1957    (data errata, quella giusta è Polling 17.8.1982 1])
5. Pensèes des morts         da Mosca 9.5.1957
6. Funerailles                     da Mosca 5.2.1958
7. Andante lagrimoso        da Budapest 11.9.1982 (dubbio, potrebbe essere Polling 17.8.1982 1])
8. Mephisto Polka             da Colonia 10.3.1988
9. Nuages gris                   da Mosca 9.5.1957
10. Valse oublièe               da Mosca 5.2.1958


Tutte le esecuzioni provenienti dalle suddette date sono già stati pubblicate in precedenza su altre etichette, e precisamente:


1,2,5,9 su GREAT ARTISTS IN MOSCOW CONSERVATOIRE SMC CD 0052-53
5,9       su PARNASSUS PACD 96017/8
5          su PREISER PR 95003
3,6,10  su REVELATION RV 10011
3,10     su WHRA-6043
4          su vari PHILIPS
7         su BMC 171 (HUNGARIAN SET) [se da Budapest]; su vari PHILIPS [se da Polling]
8          su vari PHILIPS E DECCA ufficiali


Al di là di queste note che vogliono solo essere, come sempre, una semplice guida per coloro che possiedono già queste esecuzioni richteriane al fine di districarsi nella congerie di brani, date, inesattezze che si affastellano tra di loro, rischiando di far acquistare doppioni e magari mancare l’acquisto di vere e proprie gemme; al di là di questo, dicevo, abbiamo in questo cd un Richter ancora giovanissimo che esegue Liszt non solo con il consueto virtuosismo, ma anche con un sentimento ed una penetrazione psicologica atta a far apprezzare il compositore ungherese anche a chi, e sono molti, non lo apprezza vuoi per partito preso vuoi perché lontano emotivamente dai propri echi ed atmosfere.
Anche nei due brani degli anni ’80, sembra che non siano passati trenta anni dalle precedenti incisioni: il virtuosismo, la misura, la musica sono le stesse. Oppure si prenda Nuages gris, dove l’impressionismo lisztiano si salda con l’impressionismo e il simbolismo di Debussy: tutte le registrazioni disponibili sono degli anni ’80, questa di Mosca è l’unica degli anni ’50. Le atmosfere che Richter crea sono le medesime: chiaroscuro, incertezza, mistero, indeterminatezza. Richter non ci dà una descrizione naturalistica, ma scende nel profondo e capisce che questo brano dell’ultimo Liszt (il pezzo è del 1881, cinque anni prima della morte del compositore) è un’anticipazione di Debussy (che era nato 19 anni prima, nel 1862). Debussy, e anche Ravel, avrebbero potuto tranquillamente scriverlo loro. Richter ce lo dimostra. Richter non suona solo musica, suona cultura.



1] La presenza dell’Ave Maria da Polling 17.8.1982 mi fa propendere per questa data anche per l’Andante lagrimoso.



PROFIL PH 15011 – TEOPHIL RICHTER



Un benvenuto, finalmente, ad uno dei pochissimi brani conosciuti, e sopravvissuti all’ingiuria del tempo, composti dal padre di Sviatoslav Richter, pubblicato in questo cd della Profil insieme ad un altro brano di Felix Blumenfeld. Secondo le note del libretto di accompagnamento (che felicemente titola sulla front cover “Odessa celebrates Centennial of Sviatoslav Richter 1915-2015”) questo Quartetto per archi in Fa maggiore di Teophil Richter (1872-1941) è l’unica composizione rimasta, a parte alcuni piccoli pezzi per pianoforte, del padre di Slava, il quale ne custodì il manoscritto per tutta la vita, mai divulgandolo, ma di cui sono circolate diverse fotocopie, tanto che il Quartetto di Odessa lo ha potuto mettere nel proprio repertorio. Quella riprodotta sul cd è una esecuzione dal vivo del luglio 2014 a Regensburg. Attualmente il manoscritto originale sembra custodito in una località sconosciuta. La composizione mi sembra un classico pezzo tardo-romantico in quattro tempi: un Moderato in forma-sonata con alcune deliziose immagini musicale fresche e melodiche; una melodia romantica che permea anche l’Andante e il terzo tempo A la valse. L’ultimo movimento – Allegro– si rifà a stilemi classici haydniani e mozartiani.
Come si vede non è un pezzo rivoluzionario, che anticipa chissà quali trasformazioni radicali nella musica del ‘900, ma è un pezzo estremamente piacevole del quale lo stesso Sviatoslav ci parla nel libro di Monsaingeon (siamo a casa di Richter durante una prova il 28 novembre 1988): “Il Quartetto Borodin ama moltissimo questo Quartetto di mio padre e ha deciso di includerlo nel suo repertorio; io ne sono rimasto molto commosso, perché è stato una loro scelta sincera e obbiettiva. Mi piace questo lavoro per la sua grazia e per la mancanza di artificiosità, due qualità intrinseche a tutti i lavori di Papà”. [Bruno Monsaingeon – Sviatoslav Richter, Notebooks and conversations – ed. inglese Faber and Faber 2001 pag. 329]
Il cd contiene anche il Quartetto per archi in Fa maggiore op.26 di Felix Blumenfeld (1863-1931). Blumenfeld fu un compositore, direttore d’orchestra, pianista, professore al Conservatorio di Mosca, zio di Heinrich Neuhaus. Da Neuhaus a Richter il passo è molto breve e questa scelta dei produttori del cd, oltre che del bravissimo Odessa String Quartet è assolutamente azzeccata.


Per chi ne fosse interessato il cd è di facile reperimento sui principali siti online ad un prezzo leggermente superiore ai 10 euro.







Segnalo infine, oltre ai francobolli commemorativi già pubblicati qui1LINK]  2LINK], nuovamente la medaglia commemorativa del Centenario, i cui ulteriori scansionamenti trovate qui di lato.











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Manuel De Falla. Seguidilla (Bucarest 1958)

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M a n u e l   D e  F a l l a
"Seguidilla" 
EXCEPTS 1'

- Bucarest 1958 -

DORLIAC e RICHTER

Rarità audio: Manuel De Falla: "Seguidilla"

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M a n u e l  DF a l l a 

"Seguidilla Murciana" 



(Siete canciones populares españolas: II)


Bucarest 24 Marzo,1958




NINA DORLIAC e SVIATOSLAV RICHTER


re-editing complete

Heinrich Neuhaus a Natalja Fomina

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Natal'ja Fomina circondata dalle sue allieve 



Heinrich Neuhaus



Lettera a Natal'ja  Aleksandrovna Fomina




Mosca, 30/Dic./1963





   Cara, cara Nataša! Sono appena tornato dal mio Valerij [Voskoboinjkov] e mi ha detto che  Vostro padre è mancato. Io so cosa significa ... ancora adesso, discuto con mio padre - è ancora vivo in me. I primi tre anni dai miei genitori quasi ogni notte li ho sognati (sono morti l'uno poco dopo l'altro - hanno vissuto insieme per 63 anni). La morte fisica -  è una morte molto incompleta. Sono profondamente solidale con voi, vi sono vicino e vorrei fare per voi qualsiasi cosa. Non dimenticatevi di me, il vostro vecchio amico. So che vostra madre è con voi. Riferite a lei tutta la mia personale vicinanza. Vorrei molto raccontarvi sulle similitudini di cui Vi ho accennato, ma solo se lo vorrete.

Il vostro affezionato Neuhaus. Sylvia si unisce alle mie parole.





"H Neuhaus: E.Richter. Classica XXI). Генрих Нейгауз, воспоминанияо Г.Г. Нейгаузе. Елена Рудольфовна Рихтер. классика XXI. Trad. amat. di C.G.

Bryce Morrison talks about Richter (audio)

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Bryce Morrison talks about Sviatoslav Richter

Radio Broadcast 
excerpt ↪ 2'34''


Sviatoslav Richter: A centenary Memoir




The 100th anniversary of the birth of the legendary pianist Sviatoslav Richter, his legacy and his electrifying effect on audiences are recalled by pianist and scholar Bryce Morrison who knew him personally.

Nina Dorliak: excerpt from "Nina talks" (Kawashima)

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"N i n a   T a l k s"


From an interview 
withMidori Kawashima

河島みどり

(about encounter with Richter: book illustraded with photos by Toru Konda)

[..]

As you may be aware, Maestro is shy and will not tell us how he came to know you. I would like to ask you about it.

I became aware of him when he entered the Conservatory. Since I kept friends rather with pianists than with singers, I had a lot of information about him. I also went to his concerts. He was quite an attractive young man with red hair. His performance was very amazing.

Midori with Slava
Were you already acquainted with Richter?

No, I was not yet acquainted with him. Only I went to the concerts to hear him perform. Some time afterwards the war broke out and I evacuated to Tbilisi. Slava was acquainted with a female friend of mine who was a painter. One day Slava visited Tbilisi to give a public performance and called on me with a present from my friend who had asked him to hand it to me. It was our first encounter and after that we came to meet often.

[..] 

About Richter: many others quotes

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Others quotes about Richter

Amid all the tributes that will mark tomorrow’s centenary of the birth of Sviatoslav Richter, none will find the right adjective to go before the noun ‘pianist’. Richter was unlike any pianist before or since, so much so that the very term pianist distorts and belittles the essence of his being.         

Norman Lebrecht, Not another centenary, this is the greatest music at the piano. 2015

That performance, as well as the studio version Richter recorded shortly thereafter, raised the bar for all of us," ..."No one was able to play the 'Appassionata' in public without worrying that the audience might have the sound of Richter's performance in their ears." 1979

Malcom Frager, quote in the article by Steve Vigler: The pianist who made the earth move. NPR Music. March 19, 2015

Of all the pianists with whom Prokofiev worked during the Soviet period of his life, he clearly preferred Richter. One of the testaments to this, de scribed here for the first time, is a note in Prokofiev’s handwriting preserved in Richter’s archive. It seems to be a draft of a congratulatory cable—the text lacks punctuation marks—that says, “Warm salute to pianist best in Soviet Union and round whole globe the Prokofievs.       

 BoBerman, Prokofiev’s piano sonatas : a guide for the listener and the performer (2008), "Prokofiev the pianist"

      Sviatoslav Richter amazed me by his spontaneity. I emphasize - the spontaneity of Richter's art of the 40's-50's is a unique phenomenon in pianism. For instance, today nothing is heard of spontaneity. And Emil Gilels has always been a mentor for me. I have always felt and still feel taken over by the wonder of Gilels' unique tone. Undoubtedly Richter and Gilels inspired me as magnificent virtuosos by their technique. The more so, as at that time I already had my own considerable technical achievements. In this respect everything was even too good, I would say.      

   Lazar Berman, in Mark Zilberquit, Russia's great modern pianists (1983)     

Why this wave of emotion and excitement? Some attributed it to a great publicity build-up, and one writer objected to the use of the phrase, 'The Pianist of the Century'. 'Which century?' he asked. This was the same critic who labelled Horowitz on his debut as 'the greatest pianist, living or dead'. It is obvious that Richter's gramophone records were his best publicity agent, for these fine recordings have been available for some time and they have so impressed the discerning listener that the message has been passed round-'Here is a great pianist'. Publicity has not suppressed judgment here.        

 Harold Craxton, "Sviatoslav Richter", The Musical Times, Vol. 102, No. 1423 (Sep., 1961)    

  Criticism is a very personal affair-no two people can hear alike, neither can their reactions be standardized. I have read much in the press about Richter's performances, and the opinion of distinguished critics has been varied, and quite rightly so. But there seems to have been a crescendo from doubt to approval and admiration, from the early use of words such as 'provincial', 'reprieve for Richter', to 'the supreme artist, whom we had been led to expect'.     To me there seems no doubt that Richter is a great pianist. I have heard enough to thrill me. A pianist who can use the piano in every legitimate and musical way-who has song in his heart and rare agility in his fingers and hands, who never attempts to improve music by discovering new effects or counter-melodies-an artist who has a belief in his choice of music, and whose great art is placed in affectionate service to the composer as a first and last aim.         

[Harold Craxton, ibidem]   

I believe you can divide musical performance into two categories: those who seek to exploit the instrument they use and those who do not.     In the first category, if we believe history, is a place for such legendary characters as Liszt and Paganini as well as many allegedly demanding virtuosi of more recent vintages. That category belongs essentially to musicians determined to make us aware of their relationship with their instrument. They allow that relationship to become the focus of attention.     The second category includes musicians who try to bypass the whole question of the performing mechanism, to create the illusion of a direct link between themselves and a particular musical score. And, therefore, help the listener to achieve a sense of involvement, not with the performance per se but rather with the music itself. And in our time, there's no better example of that second musician than Sviatoslav Richter.     What Richter does is insert between the listener and the composer his own enormously powerful personality as a kind of conduit. And we gain the impression that we're discovering the work anew and, often, from a quite different perspective than we're accustomed to.    
   

   Of the Russian pianists I like only one, Richter. Gilels did some things well, but I did not like his mannerisms, the way he moved around while he was playing.         

Vladimir Horowitz, quoted in Harold C. Schonberg, Horowitz: his life and music      

How many pianists can claim today to be at [Richter's] level? How many are his peers, in the whole history of piano playing? Although I may appear unduly selective, only two names come to mind: Franz Liszt and Feruccio Busoni. The first was born in 1811; the second in 1866, fifty-one years later. And Richter was born in 1915, forty-nine years after Busoni.         

Piero Rattalino, Pianisti e Fortisti, Il terzo Uomo    

  Unlike Beethoven’s sonatas, but like his own song cycles, Schubert’s piano sonatas were not of a nature to inspire the need for public performance for a long time. Sviatoslav Richter’s comprehension of this special intimate nature can explain his interpretation of some of the late sonatas. his very slow tempo in the first movement of the last sonata in B-flat Major (marked only Molto moderato) excited the derision of Alfred Brendel. As I remember, Richter takes almost half an hour for this movement alone, with three more still to go. Brendel was right in thinking the tempo incorrect or inauthentic, but he also appeared not to feel that the intimacy of the work was also essential to its authenticity, and contented himself with a large-scale rendition. The movement is indeed of grand dimensions, but the paradox of schubert’s style here is the astonishing quantity of dynamic indications of pianissimo and even ppp, broken most memorably just before the repeat of the exposition by a single fierce and unexpectedly brutal playing as loudly as possible of the trill of the principal motif, heard so far only very softly (a repeat that Brendel refused to perform, perhaps because the unprepared violence is awkward in a large hall, although paradoxically more convincing in an intimate setting). Richter was an extraordinarily intelligent musician: whenever there was a significant detail in the score, it was always signaled by a reaction in his interpretation, not always, perhaps, the reaction that one would have liked, but no matter.     

    Charles Rosen, Ch. 28. "Old Wisdom and Newfangled Theory: Two One-Way Streets to Disaster" in Freedom and the arts : essays on music and literature (2012)     

 It was fabulous! I came especially from Europe. Richter had already played three concerts. I was curious to hear the "great Richter" and went to his concert. He played three pieces by Ravel, simply incredibly! A sound of prodigious beauty! I had never heard before a piano sound like that. It was an other instrument. It brought tears to my eyes. Richter is a gigantic musician with great intelligence. He plays the piano, and the piano responds. He sings with the piano.         

Arthur Rubinstein, In Bruno Monsaingeon, The Enigma (film biography of Richter).     

   If Gilels was in the mainstream tradition of piano playing, Sviatoslav Richter belongs with the great individualists. Alkan? Busoni? Michelangeli? All represented a kind of maverick approach to music and the keyboard, marching to a different drummer. … At the conservatory, his magnetism, his dedication, the aura that always has surrounded him made themselves felt. … Everything he did was different from what other pianists did.         

 Harold C. Schonberg, The Great Pianists      

Dedicato a Richter: L.Baldecchi e Roberto Chirici a Torino

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Nella bellissima Villa Tesoriera di Torino, lo scorso 22 Aprile, un ricordo del grande Sviatoslav Richter


"Dedicato a Richter, in omaggio al Centenario"



Lidia Baldecchi Arcuri
Dedicato a Sviatoslav Richter 

(Gennaio 2015)

di Roberto Chirici 
Richter è uno dei rari, grandi, Artisti e Maestri dell’ intera Storia Musicale, nelle cui esecuzioni ci si dimentica dello strumento per compiere un viaggio alla fresca sorgente della pura Musica, nel magico misterioso suo regno. Vero e proprio Medium tra l’ idea originaria del compositore allorchè concepì l’ opera d’ Arte e l’ ascoltatore, egli evoca in noi tutte le passioni: il più lacerante dolore, l’ intensa malinconia, la più sfrenata gioia. Nessuno è penetrato come lui negli abissi dell’ universo sonoro di Schubert e Schumann di Rachmaninov e Prokofiev. Richter riconcilia dalle miserie umane, dopo averlo ascoltato possiamo accettare l’ idea della morte e ringraziare Dio per averci donato una, se pur fuggevole, apparizione su questa terra e in questo mondo.


Nella splendida atmosfera del parco e della Villa "Tesoriera" di Torino si è tenuta mercoledì 22 aprile, 2015, una commemorazione del grande pianista Sviatoslav Richter in occasione del centenario della nascita.



Roberto Chirici e Lidia Baldecchi Arcuri, insigne insegnante di Pianoforte e intima amica del Maestro, hanno rievocato la figura del grande Artista sovietico attraverso l'ascolto di incisioni e video musicali.
Tanti i ricordi personali e commoventi scaturiti dalle note di Chopin e Schumann in particolare.Tra il numeroso e attento pubblico, ci ha onorato con la sua presenza, la pianista di fama internazionale Annamaria Cigoli con i suoi allievi. In una saletta attigua al salone ove s'è svolta la manifestazione, è stata allestita una piccola mostra di oggetti e ricordi legati al Maestro.
Un sogno ad occhi aperti che rimarrà per sempre nella nostra memoria e nel nostro cuore.

Lidia Baldecchi Arcuri
Roberto Chirici


Locandina

Querelle, da Tre Burlesques di Bartók (reg.1989)

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"Q u e r e l l e"

B A R T Ó K               1989
(da Burlesques Sz.47 op.8c)


 A Marina Remaggi

...Addirittura sconvolgente il Bartók delleTre Burlesche"
(Bologna, 1989. Dino Villatico, La Repubblica)




Dino Villatico


C'è un episodio, nell'Idiota di Dostoevskij, che, apparentemente marginale, costituisce il nodo centrale del pensiero che sorregge il romanzo, come, nei Fratelli Karamazov, il racconto del Grande Inquisitore o lo sdoppiamento di Ivan. Il protagonista, principe Myskin, è invitato a un ricevimento dalla generalessa Elizavieta Procofievna, la quale però gli raccomanda di fare attenzione, di non essere sbadato e impacciato, come al solito, perché ha appena acquistato uno splendido vaso cinese, e ci tiene molto. Per tutta la serata il principe vive nel terrore di rompere il vaso cinese. E, nel calore di una discussione, finisce davvero con l'urtarlo e mandarlo in frantumi. L'episodio è esemplare per molti versi, ma soprattutto per ciò che rivela del principe, del suo inconscio. Ma anche per la lucidità con cui Dostoevskij raffigura l'emergere di questo inconscio, o, come lo chiama, di questo sottosuolo. Tutto ciò è profondamente russo, proprio come profondamente russa, slava, è l'arte interpretativa di Sviatoslav Richter. L'episodio dostoevskijano la illumina come meglio non si potrebbe. Il punto, il nodo, di questa impostazione interpretativa sta, infatti, proprio come nella rappresentazione di Dostoevskij, nel fatto che l' intelligenza, la ragione, si affanna a interpretare ciò che non è ragione, ciò che sembra estraneo all' intelligenza, ciò che noi chiameremmo dunque irrazionale, ma che per Dostoevskij, come per Richter, non è irrazionale. E' semplicemente la materia su cui si basa anche la ragione. Si può chiamarla sensibilità, sentimento, o come si vuole, sarebbe sempre un modo riduttivo, delimitante di indicarla. Infatti non si tratta di porre un' opposizione tra la chiarezza della ragione che imposta la struttura dell' interpretazione e la sensibilità che offre il colore, il sapore, il tono. Così come non si tratta di un contrasto tra la razionalità della costruzione musicale e l'inafferrabilità del suo influsso emotivo, del suo valore estetico. Si tratta invece esattamente del contrario: la razionalità della pagina, la logica della costruzione sono spiegate dal loro valore estetico, dal loro impatto emotivo. E' un modo di procedere difficilissimo, che obbliga l'ascoltatore non solo a sentire dentro di sé quell' impatto, ma anche a chiarisene le ragioni.

 [..]

(estr. dall'articolo 'E il grande Richter rompe i vasi cinesi', 1989), pubblicato nel BLOG

L'enigma Richter, di Gian Paolo Minardi

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Il Blog per il centenario della nascita di Sviatoslav Richter





L' e n i g m a    R i c h t e r
di Gian Paolo Minardi



 

Il riascolto di questi dischi beethoveniani mi riporta alla primavera del 1986, risvegliando il ricordo ancora vivissimo degli esaltanti concerti che Richter tenne al Bibiena di Mantova. L'annuncio di una serie di concerti monografici - combinati in stretto rapporto con la Decca - nello stupendo teatro mantovano giunse come un'autentica sorpresa, riaccendere le aspettative della schiera di ammiratori che si sentivano un po' orfani del grande pianista; Richter, infatti, che da alcuni anni andava sottraendosi alle strette del sistema concertistico scegliendo itinerari erratici, defilati, suggeriti da un suo personale istinto, dalle sue personali insofferenze anche, pareva acceso in quella occasione da un nuovo fuoco, sospinto da una rinnovata voracità nell'affrontare in pochi giorni ben sei programmi diversi. Una gamma estremamente divaricata, da Haydn a Hindemith, entrando ardimentosamente in aree del repertorio addirittura da lui non ancora frequentate, come le insidiosissime, figuriamoci per un settantenne, Variazioni sopra un tema di Paganini di Brahms.


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Quella del pianista ucraino é
un'estemporaneità radicata nella dimensione più autentica. Una libertà apparentemente sciolta da ogni vincolo. In realtà sostenuta da un severo controllo e da una strepitosa versatilità tecnica
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L'entusiasmo dovette presto scontrarsi con la stanchezza e con quegli scoramenti che sempre più toccavano  l'anziano maestro così che per noi ascoltatori subito catturati da quelli accensioni tanto brucianti pareva vanificarsi il previsto esito discografico. Pur scontento, per gli evidenti scompensi e le ricorrenti fallosità, Richter lavorò ancora sul materiale, divenuto per lui non poco ossessivo, prodotto da "quelli della Decca", senza tuttavia giungere ad uno sbocco. L'impegno lungo quelll'itinerario sarebbe in ogni modo continuato così che il progetto discografico poté procederegrazie a una serie di registrazioni dal vivo effettuate nell' 89 a Vienna e ancora nel '92 a Amsterdam e nel '93 a Ludwisburg. Un lavoro di selezione accuratissimo tanto da convincere lo stesso Richter, che già aveva avuto modo di manifestare pubblicamente la sconfessione nei confronti di un'invadente pirateria da cui risultava sensibilmente falsata la sua proposta sonora, ad approvare quei sei dischi, tre cofanetti dedicati rispettivamente a Schumann/Brahms, a Chopin/Liszt e a Beethoven.
Una testimonianza molto significativa nel ricomporre una fase dell'intenso percorso del grande interprete, una visione più decantata rispetto ai furori giovanili e agli esaltanti exploit della maturità, ma pur sempre rappresentativa di quel modo inconfondibile di vivere la musica, legato all'atmosfera di una determinata serata, al grado di concentrazione, a tutti quei fattori insomma che lo avevano spinto nell'ultimo decennio a percorrere un itinerario concertistico del tutto privato (o quasi), in sale raccolte, sottratte alla traboccante pressione del pubblico: il che non rendeva meno intenso il fascino né il percorso meno esposto ai salti d'umore. Escursioni marcate, sorprendenti, come ricorderà chi abbia avuto occasione di seguire negl'anni il cammino di Richter, sempre però scaturenti da quell'immenso fondale, oscuro e provocante, di una musicalità dalla risonanza infinita, una radice che dava all'estemporaneità una dimensione pur sempre autentica, non solo legata alla strepitosa versatilità tecnica. E proprio da tale solidità d'impianto traeva forza quella eloquenza che Richter riusciva a trasmetterti nei modi più inattesi, gettandosi a testa bassa entro i vortici di note più travolgenti oppure delibando la frase, come appunto possiamo gustare nei dischi dedicati ad Haydn, in tutta la morbidezza, persin sorniona, della sua tornitura; ed ancora riuscendo a decantare, senza peraltro perderne la fragranza, certe frenesie che affiorano dalle pagine novecentesche, come le Métopes di Szymanowski o le Burlesques di Bartok, ma sopratutto penetrando entro i più intricati intrecci del contrappunto, non solo quello dichiarato, 'oggettivo' diceva Richter, del Clavicembalo bachiano e del suo ideale prolungamento nei Preludi e Fughe di Sostakovic, ma ancor più quello che nutre in maniera essenziale la scrittura schumanniana, con una chiarezza che non è mai distacco analitico, bensì capacità di sintesi, dominio dell'insieme, possesso dell'organicità della forma, proprio mentre si coglie la delizia del particolare: che è appunto il senso della stupefazione testimoniata dal suo grande maestro, Heinrich Neuhaus, il quale quando conobbe quel giovane talento cui, confessava francamente, non sapeva cosa avrebbe dovuto insegnare, fu colpito, più che dalla prodigiosa manualità, dalla sua capacità di costruire un brano; una sensibilità nel plasmare il discorso "in modo che sembri disteso davanti a lui come un immenso paesaggio, il quale si rivela all'occhio in unico sguardo" . 

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NEUHAUS FU COLPITO DA COME RICHTER SAPEVA PLASMARE UN BRANO FACENDOLO SEMBRARE DISTESO DAVANTI A LUI COME UN IMMENSO PAESAGGIO RIVELATO IN UN UNICO SGUARDO
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Ed è proprio questa la rassicurazione che ci viene da ogni ascolto di Richter, anche il più scosceso, il più spericolato; e che ci viene anche da questi dischi beethoveniani (*), toccati da una felicità che sembra decantare il riverbero di una luce ideale dal mezzo secolo di esperienza concertistica che sta alle spalle di questo grandissimo interprete. Un arco lunghissimo, non poco singolare, anche, dalla sua iniziazione musicale del tuto anomala, "quasi selvaggia" dice Bruno Monsaingeon nel suo avvincente racconto, con il grigio apprendistato a Odessa quale maestro ripetitore, quindi l'arrivo a Mosca, l'incontro con il grande Heinrich Neuhaus, i difficili rapporti col Conservatorio, dal quale fu cacciato per ben due volte; infine l'avvio, quanto mai tardivo, di una carriera impensata, sotto la benedizione di Prokofiev che invita Richter ad eseguire il suo Quinto Concerto. Un primo capitolo, quello della carriera pianistica di Richter, dapprima tutto sovietico, intensissimo, nutrito da un repertorio sconfinato equivalente a ottanta programmi da concerto; infine l'apertura verso l'occidente nel '60, con i sorprendenti successi americani, quindi in Europa: incancellabile rimane in chi l'abbia ascoltato allora il ricordo dei suoi primi concerti italiani. Colpiva l'irruenza, addirittura la voracità con cui pareva aggredire il testo musicale quasi volesse strappar il segreto racchiuso dietro la fisicità delle note; ed in effetti il cammino di Richter fu sempre rivolto esclusivamente alla musica - "Amo Wagner. E' il mio Dio delle musica!" - più che al pianoforte che pur dominava come pochi altri, con una tecnica tanto personale quanto ardimentosa, sollecitato dal demone di un virtuosismo sfrenato, che tuttavia sapeva anche sopirsi e lasciar posto ad un altro demone, più misterioso ancora, col quale accompagnava l'ascoltatore nei meandri più sotterranei di certi adagi schubertiani, attraverso quelle lunghezze impossibili da sostenere se non da chi, come lui, possedeva certe antenne capaci di captare i messaggi più criptici, come quelli dellamusica: davvero un "enigma" , come dice il titolo di Monsaingeon, un ineffabile enigma. E tuttavia dietro l'enigma vi erano motivazioni razionali, linee guida che scaturivano da quel brulicante universo fantastico che occupava la sua mente, il suo sentire, attraversato dalle più singolari sollecitazioni, provenienti dalla letteratura, dal teatro sopratutto, filtrate attraverso la dimensione, tutta russa del grottesco, del travestimento del Clown. Fantasia e razionalità intrecciate misteriosamente, come quando spiegava il suo modo di intendere le Sonate di Schubert le cui strutture riteneva simili a quelle del corpo: semplice l'interpretazione, diceva, "occorre trovare la verticale che separa il corpo in due: a destra la luce, a sinistra le tenebre" richiamando l'esempio dell'inizio della Sonata in sol maggiore in cui il velo delle tenebre "si alza solamente nello sviluppo (Dio disse: e la luce sia), ma non per molto. Lo stesso per Beethoven: la chiave essenziale, suggeriva, è il cerchio, "la simmetria assoluta, difficile da raggiungere". In Scriabin invece "il cerchio deve essere allungato, comincia ad assomigliare ad un uovo, un uovo con un serpente avvolto attorno!". Fantasmagoria e teatralità, appunto. Il pianista come attore, un sentimento incarnato in Richter da una naturale inclinazione e tradizione: ecco all'ora l'aura dell'entrata in scena; nella Sonata di Liszt, per esempio, suggeriva di contare fino a trenta dopo il tocco enigmatico di quel sol iniziale. "Una volta in Italia, faceva molto caldo, ero stanco ed ho contato solo fino a ventisette: E tutto se ne andato in fascio". L'umore, anche, decisivo di alcune scelte: mai l'intera raccolta dei Preludi di Chopin: non amava quello in fa minore; e neppure quelli del primo libro di Debussy: non poteva sopportare Minstrels e La fille aux cheveux de lin, che gli ricordava "il colore della carne cruda" di un nudo di Renoir. Anche questo era Richter.



G.P.M.





               Nuova pacatezza              

Quest'ultimo Richter si ripiega all'interno, riproiettandosi
nella giusta simmetria del recinto beethoveniano



L'ascolto di queste Sonate ci guida verso il meriggio della lunga giornata richteriana, lungo uno dei percorsi quale quello beethoveniano che maggiormente hanno impegnato le energie creative del grande interprete. Inevitabile quanto significativo il rimando a emozioni più lontane. Paradigmatica quella Appassionata incandescente con cui Richter offrì il suo biglietto da visita al pubblico degli Stati Uniti. Un'esecuzione spinta al parossismo della quale lo stesso interprete, anni dopo in un colloquio con Youri Borissov, avrebbe rievocato il ricordo con distacco: "Sapete come ho suonato l'Appassionata a New York? in maniera a-bo-mi-ne-vole! Avevo l'impressione di essere Prometeo che portava il fuoco agli Americani per bruciare la terra sotto di loro". Tensione visionaria di cui possiamo misurare l'ampiezza attraverso il confronto con questa esecuzione di Amsterdam del '92; un clima completamente diverso, quello che avvolge del resto tutto l'ultimo Richter; la tensione non ha perso la sua forza ma si é come decantato il gesto, la teatralità; l'irruenza si è come proiettata all'interno per diramarsi attraverso una considerazione più riflessiva, alla ricerca di quel "cerchio", di quella "simmetria assoluta" che l'interprete sentiva come chiave indispensabile per entrare nel recinto beethoveniano. Una ricerca che si traduce in una quasi distaccata pacatezza, la stessa che tocca le due Sonate "facili" o la più defilata op.54, in un'attenzione affettuosa per il dettaglio, mai inteso tuttavia come sosta divagante né come riduzione del quadro prospettico ma, al contrario, come aggiustamento della lente con cui entrare più profondamente nell'organicità della grande forma. Ciò che offre una nuova coerenza, proprio in termini di continuità, alla lettura delle tre ultime Sonate, rivisitate attraverso una luce più attenerita, la dolcezza dell'op.109, con la sottile investigazione delle sue variazioni, la stupefatta, un po' stranita contemplazione della Sonata successiva, dove lo stesso scatto una volta imperioso, quasi rabbioso dell'Allegro pare trattenuto dall'altezza della meditazione tesa verso il liberatorio irradiarsi della luce. E poi l'ultima Sonata, dove quell'approccio teatrale irruento di un tempo - "bisogna gettarsi sul pianoforte come un indemoniato, senza prendere il tempo di sedersi!" - sembra come riassorbito, anche se il dissidio va operando entro le fibre; quella "lotta con Dio", Beethoven come GIacobbe pensava Richter, agisce entro le nervature di una forma che lungi dal distruggersi come aveva preconizzato Thomas Mann nel celebre capitolo del Doctor Faustus va diramandosi lungo percorsi più segreti, più intimamente drammatici. Se Thomas Mann avesse ascoltato l'interpretazione della Youdina, la quale concepiva l'ultimo movimento cono come un commiato ma come evocazione di un'altra realtà, richiamando il Dialogo di Platone sulla vita dopo la morte, "avrebbe dimenticato i suoi addii!", commentava Richter (grande ammiratore dell'originale, geniale pianista) nel sottolineare il carattere avanguardistico di quest'opera, "molto più del Kammerkonzert di Berg o delleVariazioni di Webern"; opera questa che Richter aveva affrontato proprio negli ultimi anni con una singolare acutezza e sensibilità nel cogliere le intenzioni dell'autore, nella ricerca non di una pura astrazione, come è spesso fraintesa, bensì di una condensata espressività, di un'eloquenza sotterranea che Richter, magari attraverso un filtro scriabiniano, rende oltremodo tangibile. Confermando l'impressione di Maderna il quale acutamente aveva detto di quest'opera: "Se la si esegue in una pienezza di sensibilità è un lavoro meraviglioso; se la si realizza seguendo il cosidetto oggettivismo é una macchina idiota, con le serie che vanno avanti e indietro...".

G.P.M. 





Fonte: Classic Voice no.118, Marzo 2009. Pp.gg. 34-36
Ringrazio molto l'autore del meraviglioso articolo, il Prof. Gian Paolo Minardi, e il Direttore della rivista Classic Voice, Andrea Estero, per il loro consenso alla pubblicazione su questo Blog.









(*)Allegati alla rivista 2CD: Richter interpreta Beethoven: Sonate n.19~20 op.49/1-2, n.22 op.54, n.23 op.57 'Appassionata'. Sonate n.30-32 op.109, op.110, op.111. 

Foto Rara: Arngild Major (Odessa 1937)

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Il Blog per il centenario della nascita di Sviatoslav Richter (2015)


"... Major - Oskar Adamovič e Meta Rudolfovna. La figlia di Arngild Major - é stata la mia prima amichetta..." (S.R.)


«… Майор - Оскар Адамович и Мета Рудольфовна. Арнгильд Майор, дочка, - моя первая подруга…»



 "...Era una vera allegria. Dopo la chiesa, dove suonava papà, tutta la comunità tedesca si riunì e andammo dai Seidel, Sonja e Musja. Da loro si organizzava il ricevimento. Io saltavo insieme ad Arngild Major (la figlia di Major), correvamo, ci divertivamo, tutto era molto carino. Chissà perché mi ricordo che noi  volevamo assolutamente saltare in sù per raggiungere i pendagli grecati del lampadario. La festa avrebbe dovuto aver luogo nel magnifico appartamento dei Major, in via Gogolevskaja, con vista sul mare. Ma non mi portarono lì. Si svolgevano grandi preparativi. Mamma con Sonja Karjakina e con qualcun'altro costruivano dei fanalini con i cuoricini rossi, come nella mia dacia, nello studio. Io gli stavo "appresso". La cosa più importante nell'appartamento dei Major, per me, era il pavimento: correvo e cadevo subito sul parquet lucido come uno specchio. Questi erano i nostri amici. S.R.



Traduz.di V.Voskobojnikov



da Valentina Čemberdži: «О Рихтере его словами»






Heinrich Neuhaus a Natalja Fomina

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Natal'ja Fomina circondata dalle sue allieve


HeinrichGustavovič Neuhaus
_________________________

Lettera a Natal'ja AleksandrovnaFomina







Mosca, 30 Dicembre 1963



 Cara, cara Nataša! E' appena passato da me Valerij [Voskoboinjkov] e mi ha detto che  tuo padre è mancato. Io so cosa significa ... Ancora adesso, discuto e parlo col mio defunto padre - scrivo di lui nel mio libro (che forse sarà pubblicato dopo la mia morte, in una parola - lui è ancora vivo in me. I primi tre anni dai miei genitori quasi ogni notte li ho sognati (sono morti l'uno poco dopo l'altro - hanno vissuto insieme per 63 anni). La morte fisica -  è una morte molto incompleta. Sono profondamente solidale con te, ti sono vicino e vorrei fare per te qualcosa di buono. Non dimenticarti di me, il tuo vecchio amico. So che tua madre è con te. Digli ciò della mia personale vicinanza. Vorrei molto che mi scrivessi, ma solo se lo vorrai.


Il tuo vecchio affezionato H.Neuhaus.
Sylvia si unisce alle mie parole.



Генрих Нейгауз, воспоминанияо Г.Г. Нейгаузе. Елена Рудольфовна Рихтер. классика XXI. Trad. amat. di C.G.
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