Concerto al Teatro Olimpico di Vicenza del 22 maggio 1970
Musorgskij: Quadri di una esposizione.Bartok: 15 Canti contadini ungheresi.Szymanowski: Masques, Op 34, nos. 1, 2.Prokof'ev: Sonata No 7, Op 83.
Chi normalmente si reca ai concerti (o agli spettacoli) non suppone di certo che, qualche volta, succedano cose dell’altro mondo dietro le quinte. Vede tutto a posto, gode l’esecuzione o la rappresentazione, e pensa che anche i preliminari siano stati idilliaci o quasi. Ed invece, il più delle volte, essi sono caotici, turbolenti, demoralizzanti e angosciosi. Come “quella volta” di Richter all’Olimpico…
E’ la sera di venerdì 22 maggio 1970 e Richter, molto atteso in città, deve suonare per la Società del Quartetto che, in collaborazione con il comune (Primavera a Vicenza), ha organizzato il ritorno del grande solista. Tutto è pronto per riceverlo: teatro esauritissimo in ogni ordine di posti, gente che telefona ad ogni istante per chiedere con insistenza biglietti. Al botteghino i rifiuti sono via via sempre più numerosi e, purtroppo, senza appello. Infatti, oltre ai 550 posti riservati ai soci del Quartetto, l’Assessorato alla Cultura ha già venduto ben 499 biglietti. E il totale del borderò Siae risulterà, alla fine, di 1044 persone presenti! Oggi l’”esaurito” al Teatro Olimpico si raggiunge con 500 persone, in ossequio alle ben note restrizioni in materia di agibilità. Figurarsi, quindi, la “bolgia” di quella sera, con un numero così alto di spettatori presenti. Eppure, l’esecuzione avvenne in un assoluto, irreale silenzio. Comunque, ritorniamo a noi che aspettiamo trepidanti, in portineria del teatro, l’arrivo di Richter. Sono circa le 18.30 quando fa la sua comparsa dal giardino, accompagnato dalla segretaria-interprete e dalla titolare dell’agenzia che ha organizzato la tournée italiana, Ada Finzi.
L’accompagno in camerino e poi in teatro, che ammira dalla gradinata senza
proferir parola. Scende in palcoscenico e s’avvicina al pianoforte, disposto obliquamente davanti alla porta regale. Poco distante c’è l’accordatore-noleggiatore Bettin di Padova, che osserva.
Appena Richter vede la marca del pianoforte gran coda, Yamaha, accenna ad una smorfia. Fa la faccia del sorpreso e mi chiede il perché di quella scelta. Gli rispondo che il noleggiatore dei pianoforti, appunto, quel Bettin che lo sta seguendo nella tournée italiana, ha ritenuto ottima cosa portare anche a Vicenza lo Yamaha da gran concerto, visto che proprio due sere prima, a Mantova, egli ha suonato con lo stesso strumento riportando un successo clamoroso. Il russo “scòrla” la testa in segno di fastidio, prova qualche tasto restando però sempre in piedi, distaccato. Quindi si rivolge nuovamente a me e dice, chiaro e secco:“Nein!”. Poi, con l’aiuto dell’interprete, mi domanda come mai non abbiamo approntato lo Steinway gran coda sul quale aveva suonato l’ultima volta al “Canneti” (se lo ricordava molto bene, quella volpe!). Replico che ritenevamo cosa giusta predisporre lo stesso strumento di due giorni prima. Niente da fare: non vuole assolutamente quel pianoforte, pur pronto e accordato. Riprova ancora qualche nota e se ne va…per le vie di Tebe a sbollire la rabbia, seguito dal sottoscritto che si sente sempre più raggelare il sangue.
Dalla stradella d’ingresso al teatro si odono i rumori provenienti dalla gente che si sta mettendo in coda per entrare (alcuni, irriducibili, con la segreta speranza di trovare ancora qualche biglietto disponibile).
Lo accompagno in portineria e gli faccio porgere dal custode Mingardi cartoline, opuscoli, diapositive: tutto quanto parla del teatro e di Vicenza. A questo punto, ritorna in teatro e mi chiede sic et simpliciter di far trasportare il “gran coda” del Canneti giù, dall’auditorium al teatro. Rispondo che è impossibile poterlo trasferire in tempo ragionevole: non ci sono facchini, non c’è nessuno che possa dare una mano (sono già quasi le venti) e gli faccio capire che la gente in attesa, fuori dal teatrp, sta già facendo ressa.
Richter prova a premere ancora qualche tasto e poi chiude il “cilindro” (coperchio) della tastiera: “Nein, nein: non suono!”.
Figuriamoci il sottoscritto, che incomincia a sentire i sudori freddi per tutto il corpo! Cerco di addomesticarlo: gli spiego che il teatro è esaurito da giorni e che i vicentini sono accorsi in massa proprio per sentire lui, il grande pianista russo. Gli faccio notare che una cornice come l’Olimpico – unica al mondo – è il giusto e doveroso omaggio alla sua arte inimitabile. Gli ripeto il discorso di Mantova; lo conduco a vedere i monocromi dell’anti-Odeo…Lo riporto sul palcoscenico e gli apro la tastiera. Mi guarda: forse comprende il mio dramma. E’ certo che devo aver avuto un viso talmente contratto da fargli pietà, tanto che siede sulla panchetta e accenna nuovamente qualche accordo, un po’ più lungo del solito. Riprova, e poi s’alza ancora. Ma fa cenno di spostare il pianoforte più indietro, sotto l’incrocio dei fari.
Poi, quasi nascondendo un timido sorriso, mi fa capire che suonerà. Ritorna a sedere ancora un poco per un breve riscaldamento delle mani, poi si dirige deciso verso il camerino, per cambiarsi d’abito.
A questo punto, mentre stiamo percorrendo il corridoio, salta fuori la voce della Finzi che, per ingraziarsi il pianista adesso che è tutto risolto, incomincia a sproloquiare: “Il Maestro ha ragione: voi vicentini non dovete metterlo in difficoltà…”
Non mi ricordo che cosa abbia risposto. Ma è certo che l’ho investita con una valanga di epiteti e con urla tali, che credo stia ancora scappando.
Per finirla, il concerto con lo Yamaha risultò memorabile, mandò il pubblico in delirio. Qualche tempo dopo il grande Sviatoslav Richter diventava l’esponente numero uno della Casa giapponese, suonando in esclusiva con pianoforti Yamaha. Adesso viaggia addirittura con due gran coda del Sol Levante, che lo seguono nei suoi spostamenti in ogni parte del mondo.
Ma quella sera…
di Walter Stefani (memorialista e scrittore)“Il Giornale di Vicenza”, 22 marzo 1986.
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