Il Blog propone la lettura di questo bellissimo saggio dedicato a Sviatoslav Richter
"Di un severo ed eccentrico pianista.
La presenza di Sviatoslav Richter nella vicenda musicale novecentesca"*
Un saggio di Dario Miozzi
BREVE ESTRATTO DA DOCUMENTO PDF (link)
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Ritratto in granito della scultrice léttone Lea Matysovna Davidova-Mudene (1967) |
"Annali della Facoltà di Scienze della Formazione" vol. 5, 2006 ©
1. Introduzione
Dieci anni or sono, l’1 agosto 1997, Sviatoslav Richter, uno tra i massimi protagonisti dell’arte pianistica del nostro tempo, cessava di vivere nella sua dacia nei pressi di Mosca. Con lui se ne andava l’ultimo rappresentante di quella generazione di “sovrani” della tastiera, nata nei primi due decenni del Novecento: il cileno Claudio Arrau (1903-1991); i russi-ucraini Vladimir Horowitz (1904-1989), Emil Gilels (1916-1985) e lo stesso Richter (nato nel 1915); l’italiano Arturo Benedetti Michelangeli (1919-1995).
La biografia artistica di Sviatoslav Richter è racchiusa all’interno di un arco temporale di poco meno di settant’anni e può essere divisa in due ampie fasi di durata quasi equivalente (1930-60 e 1960-97). Nella prima, che riguarda gli anni trascorsi in Russia, si possono individuare tre periodi: il primo concernente il percorso di formazione, svoltosi ad Odessa durante gli anni Trenta, è caratterizzato dalla disordinata ricerca di una via certa per il proprio talento. È all’inizio del periodo successivo, nel 1937, che matura in Richter la decisone di diventare un pianista concertista, con il conseguente trasferimento a Mosca per studiare in Conservatorio con Heinrich Neuhaus. Nel corso degli anni successivi, che comprendono anche quelli terribili della guerra contro l’invasore nazista, Richter brucerà le tappe di una carriera iniziata in forte ritardo, ottenendo i primi riconoscimenti in patria con la prima esecuzione della Settima Sonata di Prokof’ev nel ’43 e confermandosi tra i primi pianisti sovietici con la vittoria,
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* Avvertenza: nella stesura di questo saggio ho utilizzato fonti in lingua francese e in lingua inglese; nel tradurle, ho preferito mantenere la traslitterazione dei nomi, dei cognomi e di tutti i termini in lingua russa, riportata in quei testi. Anche in alcune delle fonti in lingua italiana che ho utilizzato, la traslitterazione dal russo appare altresì diversa da quella che ho invece utilizzato nel presente saggio, facendo riferimento al sistema di traslitterazione con i segni diacritici adottato dal DEUMM (Dizionario Universale della Musica e dei Musicisti), edito dalla UTET (Torino, 1983 e sgg.).
ex aequo con Victor Merzhanov, al Concorso Panrusso del ’45. Con il conferimento del Premio Stalin nel ’49 ha inizio il terzo periodo, durante il quale la fama di Richter nel proprio paese si accrescerà, consolidandosi in modo definitivo nel corso degli anni Cinquanta, consentendogli di muoversi liberamente all’interno dell’URSS e dei paesi satelliti (Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania). Tuttavia in questi anni, nonostante che dopo la morte di Stalin, avvenuta nel marzo del ’53, sia stata avviata la cosiddetta politica della “distensione” nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale, gli zelanti burocrati del regime non consentiranno a Richter di recarsi in tournée in Occidente temendo, a torto, che il maggior talento pianistico sovietico possa approfittarne per fuggire dalla Russia.
La seconda fase della biografia artistica di Richter, anch’essa suddividibile in tre periodi, inizia nell’autunno del 1960, allorché gli viene finalmente concesso il visto d’uscita per esibirsi negli Stati Uniti. Con il clamoroso esordio in terra americana (concerti con orchestra e recital solistici a Chicago, New York, Boston, e in varie altre sedi) inizia la carriera occidentale del pianista ucraino, che con le sue incandescenti ed eccentriche esibizioni conquisterà in breve tempo i favori del pubblico e l’attenzione della critica internazionale. All’inizio degli anni Settanta, Richter perviene ad una maturazione del suo stile interpretativo, ora divenuto più riflessivo e controllato; ma intorno al 1974 egli comincerà ad accusare una serie di gravi disturbi fisici (affaticamento cardiaco, alterazioni dell’udito) che, sommati al manifestarsi di uno stato depressivo cronico, lo indurranno prima a diradare e poi ad interrompere per un lungo periodo l’attività concertistica.
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TAVOLA A |
Al suo ritorno in attività, Richter è un artista del tutto diverso da quello fin lì conosciuto. Nel corso degli anni Ottanta egli si esibirà in sale immerse nella semioscurità, con gli spartiti delle musiche da eseguire poggiati sul leggio dello strumento, dal momento che la sua memoria, un tempo prodigiosa, è ora insidiata da improvvisi cedimenti. Al suo pubblico Richter propone (ma sarebbe più veritiero dire “impone”) dei programmi stravaganti, che ai brani più noti del repertorio ne affianca o alterna altri non proprio popolari, “per intenditori”, si sarebbe detto un tempo: Händel e Haydn, oltre al prediletto Bach, tra i classici del Settecento; il Brahms delle variazioni meno note, il Dvořák dei quintetti con pianoforte, il Grieg dei Pezzi lirici, per l’Ottocento; il Debussy del tutto insolito degli Studi, ed ancora Hindemith, Webern, Szymanowski, per il Novecento.
Con questi recital svolti “a lume di candela”, la cui singolare “ritualità” identifica il suo tardo stile, Richter entra nel mito, sospintovi dall’entusiasmo dei suoi innumerevoli estimatori, ma anche da un’attribuzione quasi unanime di preminenza tra i grandi pianisti del Novecento, che la critica gli aveva già da tempo assegnato.
Negli ultimi anni di vita, caratterizzati da un profondo quanto sofferto ripiegamento interiore e dal progressivo distacco dall'attività concertistica, Richter diverrà addirittura una leggenda vivente, "Il Messaggero degli Dei". 1
L'intento del presente saggio e quello di indagare, al di là delle osservazioni più o meno note sul talento tecnico ed interpretativo di Richter, le ragioni più vaste della grandezza e dell'esemplarità della sua lezione; esse vanno infatti riferite alla complessita di una personalita umana ed artistica che ha lasciato un segno forte, di autentica originalità, nella vicenda artistico-culturale della seconda meta del Novecento.
Movendo da alcuni ricordi personali, concernenti la presenza e la ricezione di Richter a Catania, ho ripercorso la carriera del pianista ucraino dagli anni Sessanta in poi, soffermandomi su alcuni momenti significativi: dalla trionfale tournée americana dell'autunno del 1960, alle collaborazioni con i maggiori compositori ed interpreti del secolo scorso; dal rapporto con i musicisti russi con cui Richter ha scelto di collaborare, stringendo con essi un autentico sodalizio artistico (David Ojstrach, Mstislav Rostropovi., il Quartetto Borodin, tra i grandi della sua generazione; Oleg Kagan, Natal’ja Gutman, Jurij Bašmet, Andreij Gavrilov ed Elisaveta Leonskaja, tra i piu giovani), alla cura, condotta in prima persona, di due festival . organizzati il primo a Mosca e l'altro nei pressi di Tours, in Francia - il cui tratto distintivo era l'accostamento della musica alla pittura, ovvero l'altra arte cui Richter si dedicava con talento nei momenti di libertà che sapeva procurarsi. Ho infine cercato di illustrare il rapporto, del tutto particolare, eccentrico si potrebbe ben dire, intrattenuto da Richter con la musica (lo studio, l'attività concertistica, le scelte di repertorio).
Lungo questo avvincente itinerario mi hanno fatto da guida il bel documentario del regista francese Bruno Monsaingeon, Richter l'insoumis2; la selezione dei diari tenuti da Richter negli anni 1970-1995 pubblicata nel 1998 a cura dello stesso Monsaingeon 3; una recente monografia di Piero Rattalino, il nostro maggior esperto di cose pianistiche, dedicata al pianista ucraino 4, ed altri libri ed articoli che riportano le opinioni e i pensieri del maestro, in forma diretta o di intervista.
1 Sviatoslav Richter. Il Messaggero degli Deiè il titolo di copertina che il direttore della rivista milanese «Musica», Umberto Masini, volle attribuire al numero speciale (n. 104, anno 21, giugno-settembre 1997) pubblicato subito dopo la scomparsa di Richter e a lui ampiamente dedicato. Masini dichiara nell’editoriale di aver tratto la suggestiva definizione da un quotidiano moscovita (p. 8) e la ripropone come titolo del suo articolo, Il Messaggero degli Dei - ricordi personali e note sparse (pp. 40-56), che è biografico ed autobiografico ad un tempo.
2 Bruno Monsaingeon, Richter l’insoumis (Richter il ribelle), DVD (3984-23029-2), Warner Music-NVC Arts, 1998. Per ulteriori notizie sul documentario, si rinvia alle pp. 230 e 233 del presente saggio.
3 Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, Arles, Editions Van de Velde - Arte Editions - Actes Sud, 1998.
4 Piero Rattalino, Sviatoslav Richter. Il visionario, Varese, Zecchini Editore, 2005.
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1.1. Un ricordo di gioventù
Il mio primo ricordo di Sviatoslav Richter risale ai primi anni Sessanta. Avevo quasi dodici anni e – senza eccessivo entusiasmo, ma pur con qualche curiosità – studiavo il piano sotto la severa guida di mia madre, Emilia Miozzi, pianista e docente al Liceo Musicale «Vincenzo Bellini» di Catania. La domenica pomeriggio accompagnavo mia madre dalla sua amica e collega Eugenia Zappalà, che sin da prima della guerra organizzava degli incontri musicali nel suo accogliente appartamento in Corso Italia. Questi pomeriggi musicali, durante i quali maestri ed allievi si alternavano alla tastiera e si scambiavano pareri e consigli, erano molto noti in città e costituirono un’occasione importante di crescita e di confronto per l’ambiente musicale locale. Altri tempi, ed altre maniere, rispetto all’esasperato individualismo d’oggi, che isola gli individui, riducendo gran parte della cosiddetta vita di relazione ad una dimensione frenetica e superficiale.
In quel pomeriggio di inizio estate, Francesco Valenti, uno dei migliori allievi della Zappalà (oggi è docente di pianoforte all’Istituto Musicale Vincenzo Bellini di Catania), doveva eseguire la temibile Sonata op. 57 di Beethoven, a tutti nota con il titolo di “Appassionata”, pezzo centrale del suo programma per l’imminente esame di diploma. ‘Ciccio’ si presentò però in ritardo, trafelato e pallido in volto, serrando un disco sotto un braccio. In preda ad una forte eccitazione, dichiarò subito che, prima di decidere se suonare in quella circostanza o, addirittura, di proseguire nell’attività pianistica, desiderava fare ascoltare a tutti i presenti il disco che aveva portato con sé: un pianista russo fino a poco tempo prima sconosciuto in Occidente, Sviatoslav Richter, vi interpretava l’op.57 di Beethoven in modo stupefacente, sconvolgente, inimitabile!
In realtà, fino a quel momento di Richter si erano avute poche notizie. Alcune di esse erano giunte dagli Stati Uniti, dove nell’autunno del ’60, e dunque alla non più giovane età di quarantacinque anni, Richter aveva compiuto il suo clamoroso esordio in un paese dell’area occidentale. Si era saputo, ad esempio, che aveva studiato in modo irregolare, perfezionandosi sotto la guida del celebre pianista e didatta russo Heinrich Neuhaus 5,
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e che il governo sovietico non gli aveva consentito fino ad allora di suonare all’estero (con l’eccezione, come si è già accennato, dei paesi dell’Est europeo satelliti dell’URSS). Si sapeva anche che aveva suonato per la prima volta in Italia a Firenze, nella primavera del ’62 6, e che nell’autunno successivo aveva eseguito il Secondo Concerto di Brahms al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Sergiu Celibidache 7.
5 Heinrich Neuhaus nacque nel 1888 ad Elisavetgrad, in Ucraina, da una famiglia di musicisti. Dopo gli studi condotti in patria con lo zio, il pianista, compositore e direttore d’orchestra Feliks Blumenfel’d (1863-1931), nel 1905 si perfezionò a Berlino con Leopold Godowski. Considerato per le sue eccelse doti interpretative uno dei maggiori pianisti russi del Novecento, durante gli anni Trenta Neuhaus divenne celebre nella Russia sovietica anche per l’eccezionale qualità del suo insegnamento, svolto sin dal 1922 e per oltre quarant’anni al Conservatorio di Mosca. Tra i suoi allievi più affermati si ricordano, oltre a Richter, Emil Gilels, Lev Naumov, Vera Gornostaeva, Jakov Zak, Eliso Virdeladze, Igor’ Žukov e il rumeno Radu Lupu; il che spiega perché la sua fama in Occidente sia legata in modo particolare proprio alla sua attività didattica. È morto a Mosca nel 1964. In Italia sono stati pubblicati due libri di Neuhaus: il saggio didattico L’arte del pianoforte (Milano, Rusconi, 1985) e una raccolta di scritti autobiografici Riflessioni, memorie, diari (Palermo, Sellerio, 2002), entrambi a cura di un suo allievo residente in Italia, Valerij Voskobojnikov. Per notizie su quest’ultimo, si veda la nota 13 del presente saggio.
6 Richter esordì con due recital al Teatro Comunale, per il XXV Maggio Musicale Fiorentino.
Tenne il primo concerto il 19 maggio 1962, eseguendo la Suite n. 5, in Mi maggiore di Händel, la Prima Sonata di Hindemith, Visions fugitives, Danza e Valzer dai Quattro Pezzi op.32, Gavotta dai Tre Pezzi op.95 e Sesta Sonata di Prokof’ev; nel secondo concerto, svoltosi il 23 maggio, eseguì il Carnevale di Vienna e la Seconda Sonata di Schumann, la Polacca Fantasia di Chopin, Estampes di Debussy e la Quinta Sonata di Skriabin. Un noto critico fiorentino ha ben descritto la straordinaria emozione suscitata dai due recital: «Il Teatro Comunale è esaurito e al termine dei concerti il pubblico in piedi continua ad applaudire: forse dai tempi della Callas non si era più visto un simile entusiasmo, che suscita peraltro discussioni accese sullo stile del grande pianista sovietico, indicato da qualche giornale, alla stregua di un corridore, come “il più bravo del mondo”» (cfr. Leonardo Pinzauti, La storia del Maggio, Firenze, Vallecchi, 1967, p. 197).
7 Questo concerto, svoltosi il 3 ottobre del ’62, fu ripreso e teletrasmesso dalla RAI-TV. Il 28 e il 31 ottobre Richter tenne due concerti a Roma, all’auditorium di via della Conciliazione; nel primo suonò con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Fernando Previtali, nell’altro si esibì in un recital solistico.
L’insolita proposta di Valenti, ma soprattutto l’atteggiamento piuttosto agitato del giovane pianista, fu fonte di qualche perplessità tra i presenti; tuttavia, la curiosità prevalse e si passò all’ascolto. Ciò che accadde subito dopo è rimasto impresso in modo indelebile nella mia memoria: dopo le cupe battute iniziali, impregnate d’un’attesa densa ed inquietante, dal grammofono venne fuori una tempesta di accordi di inaudita potenza; sotto le dita granitiche di Richter, i temi della celebre sonata esplodevano letteralmente, quasi venissero tratti in quel momento da una materia incandescente ed il modo in cui l’interprete modellava il loro sviluppo era in effetti paragonabile all’azione del magma, che in pochi attimi è capace di cancellare la presenza e la memoria stessa di tutto ciò che travolge al suo passaggio.
Alla fine del primo tempo, lo scelto uditorio riunito nel salotto di Eugenia Zappalà appariva disorientato e anche un po’ spaventato: dove erano finiti i consueti punti di riferimento dell’interpretazione beethoveniana?
Fino a quel momento – si commentava – essi erano stati rappresentati dalle classiche interpretazioni di uno Schnabel, di un Backhaus, di un Kempff e, su un versante più moderno e dunque più problematico, da quelle di artisti quali Walter Gieseking o il più giovane Friedrich Gulda.
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Ma adesso tutto ciò sembrava posto in discussione, o addirittura, secondo alcuni, spazzato via, cancellato, dall’impetuosa lettura appena ascoltata. Ed il peggio doveva ancora arrivare: dopo la breve tregua concessa nell’Andante con moto, la tempesta si scatenò di nuovo, e con veemenza ancora maggiore, nell’Allegro ma non troppo, il terzo ed ultimo tempo dell’op. 57. Qui il pathos tragico, che i ripetuti squilli di settime diminuite annunciano nel breve episodio di transizione, spargendosi poi attraverso le idee tematiche in linee espressive sempre più concitate, venne innalzato dall’interpretazione di Richter verso un punto di tensione e di aggressività sonora che nel Presto conclusivo superò addirittura il limite della possibile immaginazione.
Pochi giorni dopo la stupefacente audizione in casa Zappalà, mia madre acquistò il disco pubblicato dalla RCA Victor italiana con l’op. 57 e l’op. 26 di Beethoven eseguite da Richter, che conservo ancora gelosamente. Nelle brevi note sul retro di copertina, a firma del critico americano Samuel Chotzinoff, oltre ai cenni illustrativi sulle due sonate, si leggeva un interessante commento al recital d’esordio di Richter alla Carnegie Hall di New York 8, ma non c’era alcuna informazione biografica su quel fenomenale pianista. Da articoli reperiti su giornali e riviste, ma anche tramite un paziente quanto efficace tam tam telefonico, attivato da mia madre con colleghi ed amici musicofili residenti in altre città, riuscimmo poi ad apprendere altri dati sulla biografia di Richter: che era nato in Ucraina nel 1915 e che aveva trascorso gli anni della giovinezza ad Odessa, studiando da autodidatta e dedicandosi per lo più all’attività di maestro ripetitore al piano nel teatro di quella città. Ma la notizia più sconcertante riguardava il fatto che solo nel 1937, e dunque quando aveva già ventidue anni, Richter, senza aver mai sostenuto alcun esame, aveva iniziato a frequentare un conservatorio di musica! Recatosi a Mosca, era stato infatti ammesso con una semplice audizione nella classe di Neuhaus, divenendone subito l’allievo prediletto.
Negli anni successivi, grazie alle sempre più frequenti tournée fuori dalla Russia sovietica, la fama di Richter si accrebbe rapidamente in tutto l’Occidente e le informazioni su di lui divennero facilmente reperibili.
All’inizio dell’autunno del ’66, Sviatoslav Richter suonò anche a Catania.
Il 29 ottobre di quell’anno si esibì in un recital al Teatro Massimo Bellini, che sarebbe rimasto l’unico da lui tenuto nella città etnea 9. Il programma comprendeva nella prima parte la Sonata in Mi bemolle maggiore di Haydn e la Terza Sonata di Weber; la seconda parte era invece interamente dedicata a Chopin, con la Polacca in Do diesis minore, op. 26 n. 1, la Barcarola, dieci dei ventiquattro Preludi op. 28 (n. 6, in Si min.; n. 7, in La magg.; n. 8, in Fa diesis min.; n. 11, in Si magg.; n. 21, in Si bem. magg.; n. 17, in La bem. magg.; n. 23, in Fa magg. e n. 24, in Re minore) ed infine la Quarta Ballata. Ero presente a quel concerto e ricordo la grande emozione che si diffuse in sala mentre Richter interpretava Chopin con un gesto interpretativo ad un tempo appassionato e brusco, privo di fronzoli, e comunque del tutto non convenzionale. Alla fine ci furono momenti di autentico entusiasmo da parte del pubblico, che Richter ricompensò con ben quattro bis (ancora un preludio di Chopin, poi La sérénade interrompue dal pimo libro dei Préludes di Debussy ed infine due Études Tableaux di Rachmaninov).
8 Sulle osservazioni di Chotzinoff, si veda la successiva nota 30.
9 Se si considerano i 281 dei concerti tenuti da Richter in Italia – un numero davvero ragguardevole in quanto, secondo le statistiche elaborate da Bruno Monsaingeon, è inferiore solo a quello dei concerti tenuti in Francia (294) e, ovviamente, in Russia (1806) –, le sue presenze in Sicilia appaiono davvero esigue. All’unico recital catanese, vanno infatti aggiunti solo i due concerti tenuti a Messina, ospite dell’Accademia Filarmonica (3 novembre del ’66 e il 19 gennaio del ’93) e i quattro tenuti a Palermo (il primo dei quali il 9 novembre del ’62, al Teatro Massimo). Cfr. Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, cit., Nombre de concerts par région, pays, et par décennie, pp. 418 sgg. Nel 1998, per festeggiare i suoi cinquant’anni di attività, l’Accademia Filarmonica di Messina ha pubblicato un riversamento su cd, autorizzato dallo stesso Richter poche settimane prima della sua scomparsa, della registrazione del recital tenuto da Richter al Teatro Savoia di Messina il 3 novembre del ’66, con il quale si inaugurò la stagione 1966-’67 del sodalizio messinese. Il cd, che fa parte della collana “Documenti Sonori” edita fuori commercio dall’Accademia, con il contributo della Fondazione Bonino-Pulejo di Messina, contiene la Sonata in Mi bemolle maggiore, Hob XVI/n. 52 di Haydn, la Terza Sonata, op. 49 di Weber, la Barcarola, nove Preludi e la Quarta Ballata di Chopin. La copertina di questo cd è riprodotta in tav. B (p. 231).
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1.3. 1998: L’Istituto Bellini di Catania ospita l’anteprima italiana di un documentario su Richter
Nel maggio del ’98, e dunque trentatré anni dopo quell’unico recital al Teatro Massimo Bellini, Catania rese il suo omaggio a Sviatoslav Richter, ricordandolo a quasi un anno dalla sua scomparsa, avvenuta l’l agosto del ’97. L’Istituto Musicale Vincenzo Bellini ospitò infatti l’anteprima italiana del film-documentario Richter, The Enigma(L’Enigma Richter)10 del musicista, regista e critico musicale francese Bruno Monsaingeon 11. La trascrizione dei dialoghi con Richter che si ascoltano nel film è poi confluita nella prima parte, Richter tel qu’en lui-même, stesa in forma autobiografica, di un libro curato dallo stesso Monsaingeon 12. A presentare il film-documentario fu Valerij Voskoboinikov, pianista e didatta residente in Italia dal 1965 13, che in quell’occasione tenne anche un seminario su Heinrich Neuhaus.
Il documentario fu realizzato da Monsaingeon durante gli ultimi due anni di vita di Richter. Fu a seguito di laboriose trattative, giunte a buon fine anche grazie alla paziente mediazione di Milena Borromeo, la segretaria italiana di Richter, che a Monsaingeon fu consentito di filmare le conversazioni con il Maestro, il quale mise inoltre a disposizione del regista il suo materiale d’archivio e i suoi quaderni di appunti. Il merito principale di Monsaingeon è stato quello di conferire al documentario un eccellente ritmo narrativo, alternando i dialoghi con ampie citazioni di questi scritti, che è lo stesso Richter a leggere, a voce bassa e con un tono pacato e riflessivo, come di recitazione, con picchi improvvisi verso l’acuto, quando gli capita di esprimere giudizi ed opinioni molto personali.
A Monsaingeon è poi riuscito d’inserire il racconto sulle vicende private ed artistiche di Sviatoslav Richter in un’adeguata cornice storico-sociale, soprattutto nella prima delle due parti in cui è diviso il documentario. Egli ha infatti utilizzato una grande quantità di materiale d’archivio: preziosi estratti da registrazioni private o in studio, e da concerti tenuti da Richter in momenti diversi della sua carriera; brevi inserti di interviste rilasciate dall’artista; rari filmati con Prokof’ev e Šostakovič, i due grandi musicisti con i quali egli intrattenne un importante rapporto personale, ed altro ancora.
Nella prima parte del film sono compresi gli eventi che, movendo dall’infanzia e dall’adolescenza, giungono fino alla partecipazione ufficiale del pianista ai funerali di Stalin (marzo 1953): gli anni di formazione e di lavoro del giovane Sviatoslav ad Odessa; il suo trasferimento a Mosca nel 1937, per studiare con Neuhaus; le sue prime clamorose affermazioni come pianista e la collaborazione con Prokof’ev negli anni di guerra; le oscure e dolorose vicende familiari, con la morte del padre, che nel ’42 venne fucilato dai sovietici, in quanto sospettato di collaborazionismo con i nazisti per via delle sue origini tedesche, e con la contestuale fuga della madre, Anna Pavlovna Moskaliova, in Germania insieme ad un musicista, Sergej Kondratiev, che in seguito diventerà il suo secondo marito; l’incontro, avvenuto a Mosca nel ’46, con la cantante Nina Dorliac, che Richter avrebbe poi sposato 14
La seconda parte del film è incentrata sulla carriera internazionale di Richter, dal suo debutto negli Stati Uniti d’America (autunno 1960) alle sue ultime esibizioni degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta; ma si sofferma anche sul repertorio e sul metodo di studio del grande pianista. Di particolare interesse sono i capitoli in cui Richter racconta della sua collaborazione artistica con Šostakovič, oppure parla dei suoi rapporti di amicizia e di collaborazione artistica con alcuni tra i più noti interpreti russi (i violinisti David Ojstrach e Oleg Kagan, i violoncellisti Mstislav Rostropovič e Natal’ja Gutman, il pianista Andreij Gavrilov) e con il compositore inglese Benjamin Britten; o invece descrive i suoi difficili rapporti artistici con il direttore d’orchestra Herbert von Karajan e con il baritono Dietrich Fisher-Dieskau.
10 Il documentario è stato prodotto dalla Idéale Audience International e dalla IMG Artists Production, con una cospicua partecipazione di aziende partner e distribuito dalla Warner Music Visions. Pubblicato nel 1998 nella collana “Great Artists of the 20th Century”, in formato VHS, in inglese e con i sottotitoli nella stessa lingua, il documentario è oggi disponibile sul mercato anche in formato DVD (WMV 3984-23029-2) ed in versione trilingue (francese, inglese, tedesco). Il testo che scorre sui filmati è spesso una sintesi di ciò che Richter dice in russo, conversando o leggendo dai suoi diari, sicché a volte non appare del tutto chiaro il senso logico della narrazione, che in questi casi va rintracciato nel libro. Nel corso di questo saggio si farà riferimento all’edizione titolata in francese, Richter l’insoumis (Richter il ribelle), che è poi quella originale della produzione (il francese è la lingua utilizzata per i titoli di testa e di coda). Il documentario verrà d’ora in poi citato in nota solo con il titolo, Richter l’insoumis, seguito dalla sigla DVD, dall’indicazione della “Face” (A o B) del disco e dal titolo del track (“chapitre”, abbreviato in “chap.”). Per tutte le citazioni tratte dal documentario la traduzione è nostra.
11 Nato nel 1943, Bruno Monsaingeon ha acquisito fama internazionale con i documentari su alcuni tra i più celebri interpreti del Novecento: il pianista Glenn Gould (L’Alchimiste, Récital Glenn Gould, RTF, 1974; poi, con il titolo Glenn Gould. The Alchimist, DVD Idéale Audience-IMG Artists-EMI, 2002); a questo celebre documentario ha fatto seguito il recente Au delà du temps, DVD Idéale Audience, 2006), sempre dedicato a Gould; il baritono tedesco Fischer-Dieskau (Dietrich Fischer-Dieskau: La voix de l’âme, Idéale Audience, 1995; poi, con il titolo Dietrich Fischer-Dieskau. Autumn Journey, VHS NVC ARTS-Warner Music Vision, 1998); il soprano rumeno Varady (Julia Varady, ou le chant possédé, DVD Idéale Audience-EMI, 1998); i violinisti Menhuin (Yehudi Menuhin, Le violon du siècle, Idéale Audience, 1994; poi, con il titolo Yehudi Menuhin, The Violin of the Century, DVD Idéale Audience-IMG Artists-EMI, 2005); Ojstrach (David Oistrakh - Artiste du Peuple?, VHS NVC ARTS-Warner Music Vision, 1998; poi DVD Idem, 2003) ed altri. Anche i documentari su Fischer-Dieskau e Ojstrach fanno parte della collana “Great Artists of the 20th Century”, curata da Monsaingeon. Molto noti anche i suoi libri dedicati a Glenn Gould: la traduzione in francese, in due volumi – Le Dernier puritain e Contrepoint à la ligne, Paris, Fayard 1997 e 2000 –, di una scelta degli scritti di Gould; e l’originale collage di interviste raccolte in Non je ne suis pas de tout un excentrique, Paris, Fayard 986 (trad. it. Glenn Gould. No, non sono un eccentrico, Torino, EDT, 1989).
12 Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, cit. Il libro fu realizzato contestualmente al documentario. Oltre ai diari, il regista francese ebbe la possibilità di consultare anche l’archivio personale del Maestro. Un’ampia selezione dei diari, che copre gli anni dal 1970 al 1995, costituisce la seconda parte del volume, Carnets, à propos de musique. Di grande utilità sono infine le appendici, che riportano dati, grafici e tabelle statistiche sull’attività concertistica di Richter. Anche per le citazioni tratte da questo libro la traduzione è nostra.
13 Valerij Voskobojnikov (Char’kov, Ucraina, 1939) è stato uno degli ultimi allievi di Neuhaus, essendosi diplomato sotto la sua guida nel 1963, al Conservatorio di Mosca. Voskobojnikov era già venuto a Catania circa trent’anni prima. Nel dicembre del ’69 e nel dicembre del ’70 era stato infatti ospite del Teatro Massimo Bellini, esibendosi in due recital solistici: il 23 dicembre del ’69 Voskobojnikov eseguì la Sonata op. 109 e le Variazioni “Eroica” di Beethoven, la Sonata op. 120 di Schubert, i Sarcasmi di Prokof’ev e la Quarta Sonata di Skrjabin; il 29 dicembre del ’70, eseguì le Sonate op. 7 ed op. 78 di Beethoven, tre Intermezzi di Brahms, i Drei Klavierstücke op. 11 di Schönberg, la Decima Sonata e quattro Preludi di Skrjabin. In seguito Voskobojnikov ha continuato a svolgere un’intensa attività concertistica, anche nel campo della musica da camera, prodigandosi in particolare per far conoscere in Italia ed altrove la produzione pianistica e cameristica poco nota in Occidente di autori russi e sovietici quali Bortnianskij, Glinka, Borodin, Rimskij-Korsakov, Mosolov, Mjaskovskij, Denisov, Schnittke, Gubajdulina, Mansurjan, Volkonskij, Karamanov, Herschkowitz ed altri. Si è inoltre dedicato all’insegnamento, collaborando tra l’altro per alcuni anni, in qualità di assistente, con il figlio di Heinrich Neuhaus, Stanislav, all’Accademia Musicale Chigiana di Siena e al Conservatorio di Perugia. Voskobojnikov si è inoltre dedicato con ammirevole impegno nell’organizzazione delle attività dell’Associazione Musicale “Heinrich Neuhaus”, da lui fondata a Roma nel ’91, con la finalità di informare il pubblico italiano sulla scuola pianistica russa, con particolare riferimento all’insegnamento del suo maestro, e della quale è stato presidente e direttore artistico fino al recente scioglimento. A sua cura sono stati pubblicati in Italia due libri di Neuhaus: il saggio didattico L’arte del pianoforte. Note di un professore (Milano, Rusconi, 1985) e una raccolta di scritti autobiografici Riflessioni, memorie, diari (Palermo, Sellerio, 2002). Per un resoconto sul seminario tenuto da Voskobojnikov a Catania e per un commento al film di Monsaingeon, rinvio il lettore al mio articolo Il Maestro e la solitudine, apparso sulla rivista «Piano Time», n. 167, luglio-agosto 1998, pp. 26-28.
14 Nina L’vovna Dorliac nacque a Pietroburgo nel 1908. Figlia della cantante Ksenija Dorliac, che nella Russia della prima metà del Novecento fu un’autentica celebrità, Nina fu allieva della madre al Conservatorio di Mosca. Nel 1935 iniziò la sua carriera di cantante di musica da camera, svolta con successo sia in patria sia all’estero, arricchendo via via il proprio repertorio, che si estendeva dagli autori barocchi fino ai maggiori compositori del Novecento. Nel ’46 la Dorliac incontrò Richter, con il quale ha poi convissuto per oltre cinquant’anni, sostenendolo psicologicamente, oltre che affettivamente, in ogni momento della sua carriera e nel corso delle sue non infrequenti malattie. Durante il loro lungo ed intenso sodalizio artistico, Nina Dorliac e Sviatoslav Richter hanno esplorato in particolare il vasto repertorio russo di liriche da camera, che da Glinka giunge fino a Šostakovič; ne sono testimonianza alcune preziose registrazioni, ora riversate su cd da alcune etichette discografiche (Doremi, Cascavelle, MK Shinsekai). La Dorliac ha insegnato al Conservatorio di Mosca dal ’47, formando alla sua scuola un gran numero di allievi, tra cui spiccano i nomi di Galina Pissarenko e di Elena Brilova. Nina Dorliac è morta a Mosca nel maggio del 1998, sopravvivendo poco meno di un anno alla scomparsa di Richter. Per sua volontà, tutto il materiale artistico presente nella casa in cui aveva vissuto con il Maestro (la biblioteca, i quadri – alcuni dei quali opera dello stesso Richter –, gli spartiti, i dischi, gli strumenti musicali) è stato donato al Museo Puškin di Mosca.
[234-238]
2. Prove di “distensione” tra URSS e USA: gli scambi culturali
Intorno alla metà degli anni Cinquanta, e dunque in piena “Guerra Fredda”, ebbe inizio una prima fase di distensione, durante la quale sembrò che i rapporti tra le due maggiori potenze mondiali – l’URSS ed il gruppo dei paesi europei con regime comunista, aderenti al Patto di Varsavia siglato nel maggio del ’55, da una parte; l’America e i paesi aderenti alla NATO dall’altra – potessero in qualche misura migliorare. Fu avviato anche un programma di scambi artistico-culturali; ma in conseguenza della nuova crisi tra le due grandi potenze, determinatasi nel novembre del ’56 a causa dell’intervento militare russo in Ungheria, questo programma venne ufficializzato solo nel ’58. Il primo dei grandi interpreti sovietici al quale fu consentito di esibirsi negli Stati Uniti fu il pianista Emil Gilels 15, che vi si recò nell’ottobre del ’55, eseguendo a Filadelfia, e subito dopo a New York, il Primo Concerto di Čajkovskij, con la Philadelphia Orchestra diretta da Eugene Ormandy. Nel corso di un’intervista, Gilels sorprese i critici e i giornalisti rispondendo così ai loro elogi: «Aspettate di ascoltare Richter!» 16. Lo seguirono poco tempo dopo il violinista David Ojstrach 17 e il violoncellista Mstislav Řostropovič 18. Gli artisti occidentali cominciarono ad esibirsi con una certa frequenza in Unione Sovietica solo dopo la morte di Stalin.
15 Nato nel 1916 a Odessa (Ucraina) in una famiglia di musicisti, Gilels studiò dapprima con Berta Reinbald al conservatorio della sua città natale (dal ’30 al ’35), vincendo a soli diciassette anni la prima edizione del Concorso Pansovietico. Nel ’35 si trasferì al Conservatorio di Mosca, per perfezionarsi nella classe di Heinrich Neuhaus, dove due anni dopo venne accolto Richter. Ottenne quindi il secondo posto al Concorso di Vienna del ’36, e la vittoria al Concorso “Yasaïe” di Bruxelles nel ’38. Premio Stalin nel ’46, “Artista del Popolo” nel ’54, Premio Lenin nel ’62, insegnò dal ’51 al Conservatorio di Mosca. Gilels, che già dal ’47 aveva cominciato ad esibirsi in Europa, in seguito del suo brillante esordio negli Stati Uniti incrementò la sua carriera concertistica internazionale, imponendosi quale autorevole interprete del repertorio classico austro-tedesco (Mozart, Beethoven, Weber, Schubert), dei romantici (Chopin, Liszt, Schumann, Brahms, Grieg) e dei russi, da Čajkovskij a Skrjabin e a Prokof’ev. Di quest’ultimo compositore Gilels eseguì per primo l’Ottava Sonata (Mosca, 30 dicembre ’44), a lui dedicata. La sua arte è testimoniata dalle numerose incisioni effettuate con l’etichetta di stato sovietica Melodya e distribuite sul mercato occidentale dalla EMI, nonché con la Deutsche Grammophon (Mozart, Brahms, Grieg). Con questa etichetta Gilels aveva intrapreso anche la registrazione dell’integrale delle Sonate di Beethoven; il ciclo è rimasto però incompiuto a causa dell’improvvisa scomparsa dell’artista, avvenuta a Mosca nell’ottobre del 1985. Benché vivendo nella stessa città, Odessa, si conoscessero sin da ragazzi e si stimassero con sincera reciprocità come pianisti, Gilels e Richter non strinsero mai una vera amicizia. Anzi, con il trascorrere del tempo, Richter assunse verso il collega un atteggiamento molto critico, per via, a suo dire, dell’atteggiamento di ingratitudine manifestato in più occasioni da Gilels nei confronti del comune maestro, Heinrich Neuhaus, che a lui aveva preferito Richter. Tutto ciò è documentato in diverse pagine dei diari di Richter, e forse sarebbe stato più opportuno che Monsaingeon non includesse quei giudizi, sgradevoli e comunque molto personali, nella selezione da lui compiuta.
16 Cit. in Harris Goldsmith, Sviatoslav Richter in America, articolo contenuto nel booklet del doppio album dal titolo Sviatoslav Richter rediscovered, 2 cd RCA-BMG 09026-63844-2, 2001, p. 6; la traduzione è nostra. Il doppio album contiene la registrazione del recital supplementare tenuto da Richter il 26 dicembre 1960 alla Carnegie Hall di New York, in aggiunta ai cinque già svolti in precedenza, e i bis di un ulteriore recital, non previsto inizialmente dal programma della tournée, svoltosi due giorni dopo al Mosque Theatre di Newark. Per il dettaglio delle date della prima tournée americana di Richter si veda alla successiva p. 244).
17 Nato ad Odessa (Ucraina) nel 1908, David Ojstrach studiò privatamente con Pëtr Stoljarskij, diplomandosi nel 1926 al conservatorio della sua città. Premiato con il secondo posto al Concorso “Wieniawski” di Varsavia nel ’35 e vincitore del Concorso “Yasaïe” di Bruxelles nel ’37, Ojstrach ha ricevuto in patria le più alte onorificenze riconosciute agli artisti, quali il Premio Stalin nel ’42 ed il Premio Lenin nel ’60. Come avvenne per Gilels, la sua carriera internazionale, avviata agli inizi degli anni Cinquanta con concerti in Italia, Francia e Gran Bretagna, acquisì ulteriore prestigio con la tournée americana svolta nel ’55. Considerato dalla critica mondiale uno dei massimi violinisti del secolo scorso, Ojstrach fu grande interprete di Bach e del repertorio classico-romantico, ma anche della musica russa e slava del Novecento (la sua incisione de La fontana di Aretusa, primo dei tre poemi della raccolta Mity di Szymanowski, con Lev Oborin al pianoforte, rappresenta uno dei vertici assoluti della discografia violinistica). La sua collaborazione con Richter, avviata solo nel ’67, benché i due artisti si conoscessero sin dalla giovinezza, è testimoniata in alcuni dischi memorabili (si veda il par. 5.3. del presente saggio). Dalla fine degli anni Cinquanta Ojstrach si dedicò anche alla direzione d’orchestra. È morto ad Amsterdam nel 1974.
18 Nato a Baku (Arzebaigjan) nel 1927, Mstislav Rostropovič, è considerato il più importante violoncellista della sua generazione. La sua eccezionale carriera solistica, iniziata già nel 1942, giunse ad una svolta nel 1956, con l’invito a suonare alla Carnagie Hall di New York. Da allora si è esibito presso le maggiori istituzioni concertistiche ed orchestrali del mondo. Gli sono state dedicate diverse composizioni per violoncello da alcuni dei più importanti musicisti russi (Prokof’ev, Šostakovič, Kabalevskij, Mjaskovskij) ed europei (Britten) del Novecento. Dalla fine degli anni Sessanta in poi ha affiancato all’attività solistica quella di direttore d’orchestra con varie compagini europee ed americane. Coraggioso quanto intransigente difensore dei diritti umani e civili, Rostropovič è stato uno degli oppositori più strenui del regime politico del suo paese. Nel 1974 ha lasciato l’Unione Sovietica, recandosi in volontario esilio a Parigi con la moglie, il noto soprano Galina Višnevskaja; quattro anni dopo, il governo di Mosca ha privato entrambi della cittadinanza sovietica per aver svolto attività “antipatriottiche”. Poco prima di prendere la strada dell’esilio, Rostropovich aveva difeso pubblicamente l’intellettuale dissidente Alexandr Solženicyn, premio Nobel per la letteratura nel 1970, sfidando le autorità sovietiche fino al punto di ospitare lo scrittore in casa propria. Una grande emozione mediatica suscitò il 9 novembre del 1989 il suo gesto estemporaneo di eseguire Bach davanti al muro di Berlino che crollava. Nel 1990, sotto la presidenza di Michail Gorbacëv, gli venne restituita la cittadinanza russa e nel marzo del 2007 il presidente russo, Vladimir Putin, ha organizzato un grande ricevimento al Cremlino, per festeggiare l’ottantesimo compleanno di Rostropovič, che è poi morto a Mosca nell’aprile successivo.
Già nel ’55 alcune compagnie teatrali provenienti dalla Francia e dall’Inghilterra tennero degli spettacoli di prosa, e nello stesso anno una compagnia nordamericana rappresentò Porgy and Bess di Gershwin. Ma fu il “rapporto segreto” che l’allora segretario del PCUS Nikita Kruščëv lesse nel febbraio del ’56 al XX Congresso del partito, denunciando i crimini compiuti da Stalin e la sua gestione autocratica del potere, ad inaugurare la sia pur breve stagione del cosiddetto “disgelo” culturale all’interno della Russia e a favorire un incremento dei contatti verso l’Occidente, anche in nome del principio della “coesistenza pacifica” lanciato dallo stesso Kruščëv durante quel Congresso. Benché, come si è accennato, nell’autunno di quello stesso anno i fatti di Ungheria avessero gravemente compromesso il processo di distensione tra Est e Ovest, la collaborazione culturale, sia pur tra molti dubbi e rallentamenti, proseguì. Nel maggio del ’57, il governo canadese, d’intesa con quello americano, riuscì ad organizzare per un giovane pianista emergente, il venticinquenne Glenn Gould, una tournée di sei concerti, da svolgere tra Leningrado e Mosca 19. Richter ascoltò Gould nel terzo concerto tenuto a Mosca dal pianista canadese: «Suonò le variazioni Goldberg in modo stupefacente, ma senza i ritornelli, il che ha sciupato una parte del mio piacere. Ho sempre pensato che si debbano fischiare i musicisti (numerosi!) che non si attengono a quanto prescritto dai compositori ed omettono i ritornelli» 20.
[239-241]
Un altro positivo segnale della tendenza alla “distensione” in atto tra i due paesi fu la clamorosa vittoria del pianista americano Van Cliburn alla prima edizione del Concorso Internazionale Čajkovskij di Mosca, svoltosi nella primavera del ’58 21. Il concorso era stato organizzato per dare al mondo intero una dimostrazione della supremazia sovietica anche in campo artistico-culturale; ma la splendida prova finale di Cliburn, che eseguì il Primo Concerto di Čajkovskij ed il Terzo Concerto di Rachmaninov, sovvertì in modo clamoroso i propositi propagandistici della vigilia. Alla fine la giuria, presieduta da Dmitri Šostakovič e della quale facevano parte, tra i diversi componenti russi, i pianisti Richter, Gilels e Oborin e il compositore Kabalevskij, lo designò vincitore 22.
Pare che il premier sovietico Kruščëv 23, interpellato dal suo ministro della cultura, Ekaterina Furtsava, e da alcuni componenti della giuria sull’opportunità di conferire il primo premio ad un pianista americano, abbia risposto: «È il migliore? Allora, in tal caso, dategli il premio!» 24.
Sempre nel ’58, inoltre, la Philadelphia Orchestra e il suo direttore principale, Eugene Ormandy, furono invitati in Russia per tenere a Mosca e a Leningrado alcuni concerti, cui partecipò anche Richter 25.
Per dirla con chi, come Enzo Restagno, ha studiato a fondo le vicende musicali della Russia poststaliniana, sul finire degli anni Cinquanta, la «[…] breccia attraverso la quale irrompe un’aria nuova sembra destinata ad allargarsi allorché Leonard Bernstein e la New York Philarmonic Orchestra compiono una tournée in Unione Sovietica, facendo ascoltare al pubblico quel Sacre du Printemps che solo pochi anni prima poteva costare a uno studente l’espulsione dal Conservatorio. La musica sembra godere, rispetto alle altre arti, di maggiore libertà o quanto meno di maggiore indulgenza […] Šostakovič compone i suoi sfingei commentari sonori alle rivoluzioni, per cui ci si chiede se alla fine la pensa come un “Premio Stalin” o come Solženicyn ne La ruota rossa. Ma Gould che analizza le Variazioni op. 27 di Webern e Bernstein che fa ascoltare Le Sacre du Printemps costituiscono un insieme di eventi che si fa fatica ad ammettere parallelo alla scomunica che colpisce Pasternak per aver pubblicato in Italia il suo Dottor Živago» 26.
Il capolavoro di Kruščëv sul terreno diplomatico-musicale rimane l’invito rivolto ad un grande esule, Igor Stravinskij, che nel ’62, dopo quarantotto anni, fece ritorno in patria, accolto ovunque con straordinario entusiasmo. In quello stesso 1962, che passerà alla storia per le drammatiche settimane della crisi di Cuba, Kruščëv consentì anche il ritorno sulle scene di Katerina Izmailova, l’opera di Šostakovič che Ždanov, l’implacabile burocrate posto da Stalin a capo della censura, aveva messo al bando all’inizio del ’36. Quelli del premier sovietico sono dei successi mediatici ben calcolati, che devono servire a dare un’immagine dell’Unione Sovietica diversa e più al passo con i tempi. Anche il visto di uscita per Sviatoslav Richter, che Kruščëv concesse nel ’60, dopo anni di vane richieste da parte degli impresari occidentali, rappresentò un episodio di un’accurata strategia che alla gradevole carota dell’arte era capace di alternare d’improvviso il duro bastone di un’azione politica aggressiva quanto intransigente.
19 Un interessante resoconto sulla trionfale tournée di Glenn Gould in Unione Sovietica si legge nel denso studio biografico di Kevin Bazzana, Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, Roma, Edizioni e/o, 2004, pp. 188-198.
8 Sulle osservazioni di Chotzinoff, si veda la successiva nota 30.
9 Se si considerano i 281 dei concerti tenuti da Richter in Italia – un numero davvero ragguardevole in quanto, secondo le statistiche elaborate da Bruno Monsaingeon, è inferiore solo a quello dei concerti tenuti in Francia (294) e, ovviamente, in Russia (1806) –, le sue presenze in Sicilia appaiono davvero esigue. All’unico recital catanese, vanno infatti aggiunti solo i due concerti tenuti a Messina, ospite dell’Accademia Filarmonica (3 novembre del ’66 e il 19 gennaio del ’93) e i quattro tenuti a Palermo (il primo dei quali il 9 novembre del ’62, al Teatro Massimo). Cfr. Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, cit., Nombre de concerts par région, pays, et par décennie, pp. 418 sgg. Nel 1998, per festeggiare i suoi cinquant’anni di attività, l’Accademia Filarmonica di Messina ha pubblicato un riversamento su cd, autorizzato dallo stesso Richter poche settimane prima della sua scomparsa, della registrazione del recital tenuto da Richter al Teatro Savoia di Messina il 3 novembre del ’66, con il quale si inaugurò la stagione 1966-’67 del sodalizio messinese. Il cd, che fa parte della collana “Documenti Sonori” edita fuori commercio dall’Accademia, con il contributo della Fondazione Bonino-Pulejo di Messina, contiene la Sonata in Mi bemolle maggiore, Hob XVI/n. 52 di Haydn, la Terza Sonata, op. 49 di Weber, la Barcarola, nove Preludi e la Quarta Ballata di Chopin. La copertina di questo cd è riprodotta in tav. B (p. 231).
[230-233]
1.3. 1998: L’Istituto Bellini di Catania ospita l’anteprima italiana di un documentario su Richter
Nel maggio del ’98, e dunque trentatré anni dopo quell’unico recital al Teatro Massimo Bellini, Catania rese il suo omaggio a Sviatoslav Richter, ricordandolo a quasi un anno dalla sua scomparsa, avvenuta l’l agosto del ’97. L’Istituto Musicale Vincenzo Bellini ospitò infatti l’anteprima italiana del film-documentario Richter, The Enigma(L’Enigma Richter)10 del musicista, regista e critico musicale francese Bruno Monsaingeon 11. La trascrizione dei dialoghi con Richter che si ascoltano nel film è poi confluita nella prima parte, Richter tel qu’en lui-même, stesa in forma autobiografica, di un libro curato dallo stesso Monsaingeon 12. A presentare il film-documentario fu Valerij Voskoboinikov, pianista e didatta residente in Italia dal 1965 13, che in quell’occasione tenne anche un seminario su Heinrich Neuhaus.
Il documentario fu realizzato da Monsaingeon durante gli ultimi due anni di vita di Richter. Fu a seguito di laboriose trattative, giunte a buon fine anche grazie alla paziente mediazione di Milena Borromeo, la segretaria italiana di Richter, che a Monsaingeon fu consentito di filmare le conversazioni con il Maestro, il quale mise inoltre a disposizione del regista il suo materiale d’archivio e i suoi quaderni di appunti. Il merito principale di Monsaingeon è stato quello di conferire al documentario un eccellente ritmo narrativo, alternando i dialoghi con ampie citazioni di questi scritti, che è lo stesso Richter a leggere, a voce bassa e con un tono pacato e riflessivo, come di recitazione, con picchi improvvisi verso l’acuto, quando gli capita di esprimere giudizi ed opinioni molto personali.
A Monsaingeon è poi riuscito d’inserire il racconto sulle vicende private ed artistiche di Sviatoslav Richter in un’adeguata cornice storico-sociale, soprattutto nella prima delle due parti in cui è diviso il documentario. Egli ha infatti utilizzato una grande quantità di materiale d’archivio: preziosi estratti da registrazioni private o in studio, e da concerti tenuti da Richter in momenti diversi della sua carriera; brevi inserti di interviste rilasciate dall’artista; rari filmati con Prokof’ev e Šostakovič, i due grandi musicisti con i quali egli intrattenne un importante rapporto personale, ed altro ancora.
Nella prima parte del film sono compresi gli eventi che, movendo dall’infanzia e dall’adolescenza, giungono fino alla partecipazione ufficiale del pianista ai funerali di Stalin (marzo 1953): gli anni di formazione e di lavoro del giovane Sviatoslav ad Odessa; il suo trasferimento a Mosca nel 1937, per studiare con Neuhaus; le sue prime clamorose affermazioni come pianista e la collaborazione con Prokof’ev negli anni di guerra; le oscure e dolorose vicende familiari, con la morte del padre, che nel ’42 venne fucilato dai sovietici, in quanto sospettato di collaborazionismo con i nazisti per via delle sue origini tedesche, e con la contestuale fuga della madre, Anna Pavlovna Moskaliova, in Germania insieme ad un musicista, Sergej Kondratiev, che in seguito diventerà il suo secondo marito; l’incontro, avvenuto a Mosca nel ’46, con la cantante Nina Dorliac, che Richter avrebbe poi sposato 14
La seconda parte del film è incentrata sulla carriera internazionale di Richter, dal suo debutto negli Stati Uniti d’America (autunno 1960) alle sue ultime esibizioni degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta; ma si sofferma anche sul repertorio e sul metodo di studio del grande pianista. Di particolare interesse sono i capitoli in cui Richter racconta della sua collaborazione artistica con Šostakovič, oppure parla dei suoi rapporti di amicizia e di collaborazione artistica con alcuni tra i più noti interpreti russi (i violinisti David Ojstrach e Oleg Kagan, i violoncellisti Mstislav Rostropovič e Natal’ja Gutman, il pianista Andreij Gavrilov) e con il compositore inglese Benjamin Britten; o invece descrive i suoi difficili rapporti artistici con il direttore d’orchestra Herbert von Karajan e con il baritono Dietrich Fisher-Dieskau.
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TAVOLA B |
11 Nato nel 1943, Bruno Monsaingeon ha acquisito fama internazionale con i documentari su alcuni tra i più celebri interpreti del Novecento: il pianista Glenn Gould (L’Alchimiste, Récital Glenn Gould, RTF, 1974; poi, con il titolo Glenn Gould. The Alchimist, DVD Idéale Audience-IMG Artists-EMI, 2002); a questo celebre documentario ha fatto seguito il recente Au delà du temps, DVD Idéale Audience, 2006), sempre dedicato a Gould; il baritono tedesco Fischer-Dieskau (Dietrich Fischer-Dieskau: La voix de l’âme, Idéale Audience, 1995; poi, con il titolo Dietrich Fischer-Dieskau. Autumn Journey, VHS NVC ARTS-Warner Music Vision, 1998); il soprano rumeno Varady (Julia Varady, ou le chant possédé, DVD Idéale Audience-EMI, 1998); i violinisti Menhuin (Yehudi Menuhin, Le violon du siècle, Idéale Audience, 1994; poi, con il titolo Yehudi Menuhin, The Violin of the Century, DVD Idéale Audience-IMG Artists-EMI, 2005); Ojstrach (David Oistrakh - Artiste du Peuple?, VHS NVC ARTS-Warner Music Vision, 1998; poi DVD Idem, 2003) ed altri. Anche i documentari su Fischer-Dieskau e Ojstrach fanno parte della collana “Great Artists of the 20th Century”, curata da Monsaingeon. Molto noti anche i suoi libri dedicati a Glenn Gould: la traduzione in francese, in due volumi – Le Dernier puritain e Contrepoint à la ligne, Paris, Fayard 1997 e 2000 –, di una scelta degli scritti di Gould; e l’originale collage di interviste raccolte in Non je ne suis pas de tout un excentrique, Paris, Fayard 986 (trad. it. Glenn Gould. No, non sono un eccentrico, Torino, EDT, 1989).
12 Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, cit. Il libro fu realizzato contestualmente al documentario. Oltre ai diari, il regista francese ebbe la possibilità di consultare anche l’archivio personale del Maestro. Un’ampia selezione dei diari, che copre gli anni dal 1970 al 1995, costituisce la seconda parte del volume, Carnets, à propos de musique. Di grande utilità sono infine le appendici, che riportano dati, grafici e tabelle statistiche sull’attività concertistica di Richter. Anche per le citazioni tratte da questo libro la traduzione è nostra.
13 Valerij Voskobojnikov (Char’kov, Ucraina, 1939) è stato uno degli ultimi allievi di Neuhaus, essendosi diplomato sotto la sua guida nel 1963, al Conservatorio di Mosca. Voskobojnikov era già venuto a Catania circa trent’anni prima. Nel dicembre del ’69 e nel dicembre del ’70 era stato infatti ospite del Teatro Massimo Bellini, esibendosi in due recital solistici: il 23 dicembre del ’69 Voskobojnikov eseguì la Sonata op. 109 e le Variazioni “Eroica” di Beethoven, la Sonata op. 120 di Schubert, i Sarcasmi di Prokof’ev e la Quarta Sonata di Skrjabin; il 29 dicembre del ’70, eseguì le Sonate op. 7 ed op. 78 di Beethoven, tre Intermezzi di Brahms, i Drei Klavierstücke op. 11 di Schönberg, la Decima Sonata e quattro Preludi di Skrjabin. In seguito Voskobojnikov ha continuato a svolgere un’intensa attività concertistica, anche nel campo della musica da camera, prodigandosi in particolare per far conoscere in Italia ed altrove la produzione pianistica e cameristica poco nota in Occidente di autori russi e sovietici quali Bortnianskij, Glinka, Borodin, Rimskij-Korsakov, Mosolov, Mjaskovskij, Denisov, Schnittke, Gubajdulina, Mansurjan, Volkonskij, Karamanov, Herschkowitz ed altri. Si è inoltre dedicato all’insegnamento, collaborando tra l’altro per alcuni anni, in qualità di assistente, con il figlio di Heinrich Neuhaus, Stanislav, all’Accademia Musicale Chigiana di Siena e al Conservatorio di Perugia. Voskobojnikov si è inoltre dedicato con ammirevole impegno nell’organizzazione delle attività dell’Associazione Musicale “Heinrich Neuhaus”, da lui fondata a Roma nel ’91, con la finalità di informare il pubblico italiano sulla scuola pianistica russa, con particolare riferimento all’insegnamento del suo maestro, e della quale è stato presidente e direttore artistico fino al recente scioglimento. A sua cura sono stati pubblicati in Italia due libri di Neuhaus: il saggio didattico L’arte del pianoforte. Note di un professore (Milano, Rusconi, 1985) e una raccolta di scritti autobiografici Riflessioni, memorie, diari (Palermo, Sellerio, 2002). Per un resoconto sul seminario tenuto da Voskobojnikov a Catania e per un commento al film di Monsaingeon, rinvio il lettore al mio articolo Il Maestro e la solitudine, apparso sulla rivista «Piano Time», n. 167, luglio-agosto 1998, pp. 26-28.
14 Nina L’vovna Dorliac nacque a Pietroburgo nel 1908. Figlia della cantante Ksenija Dorliac, che nella Russia della prima metà del Novecento fu un’autentica celebrità, Nina fu allieva della madre al Conservatorio di Mosca. Nel 1935 iniziò la sua carriera di cantante di musica da camera, svolta con successo sia in patria sia all’estero, arricchendo via via il proprio repertorio, che si estendeva dagli autori barocchi fino ai maggiori compositori del Novecento. Nel ’46 la Dorliac incontrò Richter, con il quale ha poi convissuto per oltre cinquant’anni, sostenendolo psicologicamente, oltre che affettivamente, in ogni momento della sua carriera e nel corso delle sue non infrequenti malattie. Durante il loro lungo ed intenso sodalizio artistico, Nina Dorliac e Sviatoslav Richter hanno esplorato in particolare il vasto repertorio russo di liriche da camera, che da Glinka giunge fino a Šostakovič; ne sono testimonianza alcune preziose registrazioni, ora riversate su cd da alcune etichette discografiche (Doremi, Cascavelle, MK Shinsekai). La Dorliac ha insegnato al Conservatorio di Mosca dal ’47, formando alla sua scuola un gran numero di allievi, tra cui spiccano i nomi di Galina Pissarenko e di Elena Brilova. Nina Dorliac è morta a Mosca nel maggio del 1998, sopravvivendo poco meno di un anno alla scomparsa di Richter. Per sua volontà, tutto il materiale artistico presente nella casa in cui aveva vissuto con il Maestro (la biblioteca, i quadri – alcuni dei quali opera dello stesso Richter –, gli spartiti, i dischi, gli strumenti musicali) è stato donato al Museo Puškin di Mosca.
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2. Prove di “distensione” tra URSS e USA: gli scambi culturali
«Il pubblico si era follemente innamorato di Van Cliburn ed andò in visibilio quando gli venne assegnato il primo premio» (Sviatoslav Richter, a proposito della reazione del pubblico russo per la vittoria del pianista americano Van Cliburn al Concorso Čajkovskij di Mosca, primavera del ’58).
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TAVOLA C |
15 Nato nel 1916 a Odessa (Ucraina) in una famiglia di musicisti, Gilels studiò dapprima con Berta Reinbald al conservatorio della sua città natale (dal ’30 al ’35), vincendo a soli diciassette anni la prima edizione del Concorso Pansovietico. Nel ’35 si trasferì al Conservatorio di Mosca, per perfezionarsi nella classe di Heinrich Neuhaus, dove due anni dopo venne accolto Richter. Ottenne quindi il secondo posto al Concorso di Vienna del ’36, e la vittoria al Concorso “Yasaïe” di Bruxelles nel ’38. Premio Stalin nel ’46, “Artista del Popolo” nel ’54, Premio Lenin nel ’62, insegnò dal ’51 al Conservatorio di Mosca. Gilels, che già dal ’47 aveva cominciato ad esibirsi in Europa, in seguito del suo brillante esordio negli Stati Uniti incrementò la sua carriera concertistica internazionale, imponendosi quale autorevole interprete del repertorio classico austro-tedesco (Mozart, Beethoven, Weber, Schubert), dei romantici (Chopin, Liszt, Schumann, Brahms, Grieg) e dei russi, da Čajkovskij a Skrjabin e a Prokof’ev. Di quest’ultimo compositore Gilels eseguì per primo l’Ottava Sonata (Mosca, 30 dicembre ’44), a lui dedicata. La sua arte è testimoniata dalle numerose incisioni effettuate con l’etichetta di stato sovietica Melodya e distribuite sul mercato occidentale dalla EMI, nonché con la Deutsche Grammophon (Mozart, Brahms, Grieg). Con questa etichetta Gilels aveva intrapreso anche la registrazione dell’integrale delle Sonate di Beethoven; il ciclo è rimasto però incompiuto a causa dell’improvvisa scomparsa dell’artista, avvenuta a Mosca nell’ottobre del 1985. Benché vivendo nella stessa città, Odessa, si conoscessero sin da ragazzi e si stimassero con sincera reciprocità come pianisti, Gilels e Richter non strinsero mai una vera amicizia. Anzi, con il trascorrere del tempo, Richter assunse verso il collega un atteggiamento molto critico, per via, a suo dire, dell’atteggiamento di ingratitudine manifestato in più occasioni da Gilels nei confronti del comune maestro, Heinrich Neuhaus, che a lui aveva preferito Richter. Tutto ciò è documentato in diverse pagine dei diari di Richter, e forse sarebbe stato più opportuno che Monsaingeon non includesse quei giudizi, sgradevoli e comunque molto personali, nella selezione da lui compiuta.
16 Cit. in Harris Goldsmith, Sviatoslav Richter in America, articolo contenuto nel booklet del doppio album dal titolo Sviatoslav Richter rediscovered, 2 cd RCA-BMG 09026-63844-2, 2001, p. 6; la traduzione è nostra. Il doppio album contiene la registrazione del recital supplementare tenuto da Richter il 26 dicembre 1960 alla Carnegie Hall di New York, in aggiunta ai cinque già svolti in precedenza, e i bis di un ulteriore recital, non previsto inizialmente dal programma della tournée, svoltosi due giorni dopo al Mosque Theatre di Newark. Per il dettaglio delle date della prima tournée americana di Richter si veda alla successiva p. 244).
17 Nato ad Odessa (Ucraina) nel 1908, David Ojstrach studiò privatamente con Pëtr Stoljarskij, diplomandosi nel 1926 al conservatorio della sua città. Premiato con il secondo posto al Concorso “Wieniawski” di Varsavia nel ’35 e vincitore del Concorso “Yasaïe” di Bruxelles nel ’37, Ojstrach ha ricevuto in patria le più alte onorificenze riconosciute agli artisti, quali il Premio Stalin nel ’42 ed il Premio Lenin nel ’60. Come avvenne per Gilels, la sua carriera internazionale, avviata agli inizi degli anni Cinquanta con concerti in Italia, Francia e Gran Bretagna, acquisì ulteriore prestigio con la tournée americana svolta nel ’55. Considerato dalla critica mondiale uno dei massimi violinisti del secolo scorso, Ojstrach fu grande interprete di Bach e del repertorio classico-romantico, ma anche della musica russa e slava del Novecento (la sua incisione de La fontana di Aretusa, primo dei tre poemi della raccolta Mity di Szymanowski, con Lev Oborin al pianoforte, rappresenta uno dei vertici assoluti della discografia violinistica). La sua collaborazione con Richter, avviata solo nel ’67, benché i due artisti si conoscessero sin dalla giovinezza, è testimoniata in alcuni dischi memorabili (si veda il par. 5.3. del presente saggio). Dalla fine degli anni Cinquanta Ojstrach si dedicò anche alla direzione d’orchestra. È morto ad Amsterdam nel 1974.
18 Nato a Baku (Arzebaigjan) nel 1927, Mstislav Rostropovič, è considerato il più importante violoncellista della sua generazione. La sua eccezionale carriera solistica, iniziata già nel 1942, giunse ad una svolta nel 1956, con l’invito a suonare alla Carnagie Hall di New York. Da allora si è esibito presso le maggiori istituzioni concertistiche ed orchestrali del mondo. Gli sono state dedicate diverse composizioni per violoncello da alcuni dei più importanti musicisti russi (Prokof’ev, Šostakovič, Kabalevskij, Mjaskovskij) ed europei (Britten) del Novecento. Dalla fine degli anni Sessanta in poi ha affiancato all’attività solistica quella di direttore d’orchestra con varie compagini europee ed americane. Coraggioso quanto intransigente difensore dei diritti umani e civili, Rostropovič è stato uno degli oppositori più strenui del regime politico del suo paese. Nel 1974 ha lasciato l’Unione Sovietica, recandosi in volontario esilio a Parigi con la moglie, il noto soprano Galina Višnevskaja; quattro anni dopo, il governo di Mosca ha privato entrambi della cittadinanza sovietica per aver svolto attività “antipatriottiche”. Poco prima di prendere la strada dell’esilio, Rostropovich aveva difeso pubblicamente l’intellettuale dissidente Alexandr Solženicyn, premio Nobel per la letteratura nel 1970, sfidando le autorità sovietiche fino al punto di ospitare lo scrittore in casa propria. Una grande emozione mediatica suscitò il 9 novembre del 1989 il suo gesto estemporaneo di eseguire Bach davanti al muro di Berlino che crollava. Nel 1990, sotto la presidenza di Michail Gorbacëv, gli venne restituita la cittadinanza russa e nel marzo del 2007 il presidente russo, Vladimir Putin, ha organizzato un grande ricevimento al Cremlino, per festeggiare l’ottantesimo compleanno di Rostropovič, che è poi morto a Mosca nell’aprile successivo.
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Richter conversa con il suo maestro, Heinrich Neuhaus |
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Un altro positivo segnale della tendenza alla “distensione” in atto tra i due paesi fu la clamorosa vittoria del pianista americano Van Cliburn alla prima edizione del Concorso Internazionale Čajkovskij di Mosca, svoltosi nella primavera del ’58 21. Il concorso era stato organizzato per dare al mondo intero una dimostrazione della supremazia sovietica anche in campo artistico-culturale; ma la splendida prova finale di Cliburn, che eseguì il Primo Concerto di Čajkovskij ed il Terzo Concerto di Rachmaninov, sovvertì in modo clamoroso i propositi propagandistici della vigilia. Alla fine la giuria, presieduta da Dmitri Šostakovič e della quale facevano parte, tra i diversi componenti russi, i pianisti Richter, Gilels e Oborin e il compositore Kabalevskij, lo designò vincitore 22.
Pare che il premier sovietico Kruščëv 23, interpellato dal suo ministro della cultura, Ekaterina Furtsava, e da alcuni componenti della giuria sull’opportunità di conferire il primo premio ad un pianista americano, abbia risposto: «È il migliore? Allora, in tal caso, dategli il premio!» 24.
Sempre nel ’58, inoltre, la Philadelphia Orchestra e il suo direttore principale, Eugene Ormandy, furono invitati in Russia per tenere a Mosca e a Leningrado alcuni concerti, cui partecipò anche Richter 25.
Per dirla con chi, come Enzo Restagno, ha studiato a fondo le vicende musicali della Russia poststaliniana, sul finire degli anni Cinquanta, la «[…] breccia attraverso la quale irrompe un’aria nuova sembra destinata ad allargarsi allorché Leonard Bernstein e la New York Philarmonic Orchestra compiono una tournée in Unione Sovietica, facendo ascoltare al pubblico quel Sacre du Printemps che solo pochi anni prima poteva costare a uno studente l’espulsione dal Conservatorio. La musica sembra godere, rispetto alle altre arti, di maggiore libertà o quanto meno di maggiore indulgenza […] Šostakovič compone i suoi sfingei commentari sonori alle rivoluzioni, per cui ci si chiede se alla fine la pensa come un “Premio Stalin” o come Solženicyn ne La ruota rossa. Ma Gould che analizza le Variazioni op. 27 di Webern e Bernstein che fa ascoltare Le Sacre du Printemps costituiscono un insieme di eventi che si fa fatica ad ammettere parallelo alla scomunica che colpisce Pasternak per aver pubblicato in Italia il suo Dottor Živago» 26.
Il capolavoro di Kruščëv sul terreno diplomatico-musicale rimane l’invito rivolto ad un grande esule, Igor Stravinskij, che nel ’62, dopo quarantotto anni, fece ritorno in patria, accolto ovunque con straordinario entusiasmo. In quello stesso 1962, che passerà alla storia per le drammatiche settimane della crisi di Cuba, Kruščëv consentì anche il ritorno sulle scene di Katerina Izmailova, l’opera di Šostakovič che Ždanov, l’implacabile burocrate posto da Stalin a capo della censura, aveva messo al bando all’inizio del ’36. Quelli del premier sovietico sono dei successi mediatici ben calcolati, che devono servire a dare un’immagine dell’Unione Sovietica diversa e più al passo con i tempi. Anche il visto di uscita per Sviatoslav Richter, che Kruščëv concesse nel ’60, dopo anni di vane richieste da parte degli impresari occidentali, rappresentò un episodio di un’accurata strategia che alla gradevole carota dell’arte era capace di alternare d’improvviso il duro bastone di un’azione politica aggressiva quanto intransigente.
19 Un interessante resoconto sulla trionfale tournée di Glenn Gould in Unione Sovietica si legge nel denso studio biografico di Kevin Bazzana, Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, Roma, Edizioni e/o, 2004, pp. 188-198.
20 Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, cit., p. 137. Ecco quanto riferisce Bazzana a proposito di quel recital, svoltosi alla sala Čajkovskij l’11 maggio: «In quest’ultimo concerto, non solo andarono esauriti tutti i millecinquecento posti a sedere, ma vennero ammesse anche novecento persone in piedi e sul palcoscenico furono sistemate delle sedie. Alla fine del recital gli applausi e i bis continuarono per mezz’ora, e il grande pianista Svjatoslav Richter fu visto applaudire e acclamare a lungo, anche dopo che gran parte del pubblico si era stancata». Cfr. Kevin Bazzana, Mirabilmente singolare. Racconto della vita di Glenn Gould, cit., pp. 192-193.
21 Nato a Shreveport, in Louisiana, nel 1934, Van Cliburn, il cui vero nome è Harvey Lavan jr., ad appena tre anni prese le prime lezioni di pianoforte dalla madre, Rildia Bee O’Bryan, che era stata allieva di Arthur Friedheim, uno degli ultimi allievi di Liszt. Nel ’40 la famiglia di Cliburn si trasferì a Kilgore, nel Texas. Nel ’51 Van Cliburn divenne allievo della prestigiosa Juilliard Graduate School di New York, nella classe della celebre pianista ucraina Rosina Lhévinne (1880-1976), che lo educò alla conoscenza della produzione romantica russa e alla tradizione interpretativa di quel repertorio. Nel ’54 vinse il prestigioso “Levintritt Award” e fece il suo debutto alla Carnegie Hall sotto la direzione di Dimitri Mitropoulos, eseguendo il Primo Concerto di Čajkovskij. Dopo la vittoria in Russia, Cliburn iniziò una brillante carriera concertistica internazionale, che lo ha più volte riportato in Unione Sovietica (nel ’60, ’62, ’65, ’72 e ’89), ma che non ha però conosciuto lo sviluppo che agli inizi lasciava intravedere. Dal ’78 in poi il pianista americano, anche a seguito di una evidente involuzione tecnica e stilistica, ha ridotto gradualmente la sua attività pianistica per dedicarsi alle numerose attività della Fondazione istituita a Forth Worth (Texas), che porta il suo nome e a cui è collegato il concorso pianistico, fondato nel 62 ed organizzato con cadenza quadriennale nella stessa località. Il Concorso Van Cliburn è oggi incluso tra le più importanti competizioni del circuito internazionale.
22 Proprio Richter svolse un ruolo decisivo per l’assegnazione del primo premio a Van Cliburn. Accortosi durante le sessioni del concorso che alcuni giurati russi si erano messi d’accordo per abbassare le votazioni assegnate al pianista americano in modo da favorire altri candidati ed in particolare il russo Lev Vlašenko, decise con alcuni colleghi più onesti di assegnare a Cliburn la votazione massima di venticinque punti; quindi, con gesto platealmente polemico, Richter nelle proprie schede ridusse a zero il punteggio assegnato agli altri candidati, ad esclusione di tre, tra cui Vlašenko. Sulla partecipazione di Richter al concorso e sull’episodio riguardante Cliburn, si veda il racconto reso da lui stesso in Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, cit., pp. 85-86.
23 Nikita Kruščëv (1894-1971) nel marzo del ’58 aveva concentrato nelle sue mani tutto il potere, assumendo la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri dell’URSS al posto di Nikolaj Bulganin, che la deteneva dal marzo del ’53, e mantenendo quella di Segretario del PCUS, assunta nel settembre del ’53, alcuni mesi dopo la morte di Stalin.
24 Cliburn tornò in patria accolto come un eroe. A New York gli fu addirittura riservata la parata trionfale (la Ticket Tape Parade), onore mai concesso in precedenza ad un musicista, e il 19 maggio del ’58 il settimanale “Time” gli dedicò la copertina, definendolo «The Texan who conquered Russia». La RCA Victor fece sottoscrivere a Cliburn un contratto in esclusiva e, naturalmente, la prima incisione riguardò il Primo Concerto di Čajkovskij, eseguito con l’Orchestra Symphony of the Air diretta da Kyrill Kondrašin. Il successo fu straordinario; fu infatti il primo lp di musica classica a vendere oltre un milione di copie e a rimanere per oltre dieci anni in cima alla classifica dei dischi più venduti, totalizzando l’incredibile numero di tre milioni di copie vendute. Quel disco, che in Italia fu pubblicato dalla RCA italiana nella prestigiosa serie “Living Stereo” (LSC-2252) e che ancora oggi è reperibile in versione cd, divenne addirittura un simbolo di una nuova stagione di speranza per la pace mondiale che sembrava profilarsi, pur in un periodo di forti tensioni tra i due blocchi; speranza che purtroppo la drammatica crisi di Cuba dell’autunno del ’62 avrebbe bruscamente allontanato.
25 Richter eseguì a Leningrado il Quinto Concerto di Prokof’ev.
26 Enzo Restagno, URSS/Russia: 40 anni di musica dalla morte di Stalin a oggi, in Schnittke, a cura di E. Restagno, Torino, EDT, 1993, p. 9.
2.1. Come l’Occidente conobbe Sviatoslav Richter
«Non ho mai avvertito delle differenze tra i concerti in Russia e quelli all’estero»
(Sviatoslav Richter).
La fama dell’eccezionale talento di Richter cominciava a diffondersi anche in Occidente e si cominciò dunque a sperare che prima o poi anche lui sarebbe stato autorizzato a partire; ma non fu così. Gilels ritornò in America nel ’58 insieme al cognato, il violinista Leonid Kogan 27, ma Richter non si mosse dalla Russia. L’impresario americano Sol Hurok, che faceva la spola tra i due paesi, allorché chiedeva alle autorità moscovite notizie di Richter, si sentiva puntualmente rispondere che il Maestro non era in buone condizioni di salute e che doveva rimanere a casa a far cautela; fino a che – come racconta nel documentario la moglie del pianista, Nina Dorliac – un giorno non se lo trovò di fronte, mentre passeggiava per le vie di Mosca in perfetto stato di salute! 28 Sulle ragioni che indussero le autorità sovietiche a rinviare ostinatamente la concessione del visto di espatrio a Richter sono state formulate diverse ipotesi, senza però giungere a conclusioni del tutto convincenti. Si è insistito in particolare sui sospetti della polizia segreta sovietica (KGB) nei confronti della famiglia di Richter che, per la parte paterna, era di origine tedesca. Come si è accennato, nel ’42 il padre di Richter era stato fucilato dai sovietici ad Odessa, al momento dell’invasione nazista dell’Ucraina, poiché sospettato di collaborazionismo con il nemico; e la madre si era di lì a poco rifugiata in Germania, risposandosi con quel Sergej Kondratiev che era stato il suo amante e che per un breve periodo aveva impartito lezioni di composizione al giovane Richter. A seguito di queste vicende, mai del tutto chiarite nella loro drammatica evoluzione, si sarebbe dunque potuto ritenere che Richter nutrisse un legittimo risentimento nei confronti del regime sovietico e che egli attendesse solo l’occasione opportuna per abbandonare la Russia.
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Ma se è vero che lo si sospettava di sentimenti antisovietici, occorrerebbe piuttosto chiedersi come mai, proprio durante l’aspro decennio 1945-1955, siano stati assegnati a Richter alcuni dei più alti riconoscimenti artistici dell’URSS e gli sia stato consentito di svolgere un rapida e brillante carriera concertistica in patria e nei paesi dell’area comunista, senza dire dell’onore, che fu riservato a lui, a Ojstrach e a pochissimi altri artisti, di suonare in occasione della veglia funebre a Stalin (marzo 1953). A nostro modo di vedere, infatti, non sarebbe sufficiente a giustificare un simile trattamento “di riguardo” neanche il puro riconoscimento dello straordinario talento pianistico di Richter. Nella Russia di quegli anni, se davvero avessero gravato su di lui sospetti di tal genere, non solo non gli sarebbe stato concesso alcuno spazio professionale, ma la sua libertà e la sua stessa vita sarebbero state esposte ad un rischio permanente. In realtà è ben noto che nel corso della sua lunga esistenza Richter non si è mai interessato di politica, così come non ha mai manifestato opinioni o atteggiamenti da “dissidente”; c’è una bella differenza, per intenderci, tra le occasionali battute sarcastiche di Richter sul regime e l’aperta contestazione posta in essere contro di lui da Rostropovič.
È più probabile allora che se ci fu una valutazione di ordine politico nel negare a Richter per un tempo così lungo l’opportunità di esibirsi in Occidente, essa possa essere stata determinata dal timore di esporre il musicista più rappresentativo dell’Unione Sovietica a tutta una serie di rischi mediatici che, data la sua assoluta inesperienza del mondo occidentale, egli avrebbe avuto gravi difficoltà a fronteggiare o ad evitare, e che tutto ciò sia stato valutato in considerazione del fatto che si trattava di far viaggiare Richter verso gli Stati Uniti d’America. Che poi, al fondo di questi timori, ci fosse comunque quello più grave, e cioè che alla fine anche Richter potesse rimanere affascinato dalle “sirene dell’espatrio”, ci può anche stare, anche perché a Richter non veniva consentito di recarsi neanche nell’Europa non comunista. In ogni caso, si tratta pur sempre di congetture o, come oggi usa dire, di “dietrologie”, per le quali ancora oggi non si dispone di verifiche definitive.
In ogni modo, a quanto ci narrano i fatti, affinché Richter potesse recarsi in Occidente fu addirittura necessario l’intervento di Kruščëv. Il 16 luglio 1960, sulle colonne del “Saturday Rewiew”, il noto critico Irving Kolodin raccontò l’intera vicenda: «Quando, alcuni mesi fa, Nikita Kruščëv iniziò a predisporre il suo viaggio in America, suggerimmo su questo giornale che egli avrebbe potuto dar prova della sua buona volontà includendo nella sua delegazione il grande pianista Sviatoslav Richter. […] Quella che poteva apparire come una provocazione ha fatto invece il suo corso, in quanto Hurok, recentemente rientrato dall’Unione Sovietica, ha confermato che Richter ha ricevuto l’autorizzazione a partire per gli Stati Uniti, dove svolgerà oltre l’Atlantico una tournée di tre mesi, con cinque date alla Carnegie Hall» 29.
27 Nato a Dnjepropetrovsk (Ucraina) nel 1924, Leonid Kogan studiò dapprima nella città natale, poi al Conservatorio di Mosca. Dopo la vittoria conseguita nel ’51 al Concorso “Reine Elisabeth” di Bruxelles, svolse una brillante carriera concertistica internazionale. Docente dal ’52 al Conservatorio di Mosca, costituì con Gilels e Rostropovič un formidabile trio. È morto a Mosca nel 1982.
28Richter l’insoumis, DVD, Face B, Chap. 4, Amérique. Cfr. anche il racconto di Richter in Bruno Monsaingeon (a cura di), Richter. Écrits, conversations, cit., p. 137.
29 Cit. in Harris Goldsmith, Sviatoslav Richter in America, cit., p. 6; la traduzione è nostra. Nikita Kruščëv si recò in visita ufficiale negli USA nel settembre del 1959. Il buon esito della visita sembrò poter segnare un passo decisivo in quella politica della “distensione” che avrebbe dovuto condurre alla fine della cosiddetta “guerra fredda” tra USA e URSS e ad una reciproca intesa sul disarmo nucleare. Invece – come è noto – la fase più critica del contrasto tra le due superpotenze sarebbe stata raggiunta nell’ottobre del ’62, quando la crisi apertasi a seguito della scoperta di installazioni missilistiche montate dai sovietici, con il consenso di Fidel Castro, nella zona occidentale dell’isola di Cuba e puntate verso gli Stati Uniti, rischiò di scatenare il terzo conflitto mondiale. Sullo storico viaggio del ’59, si veda l’immediato resoconto apparso il mese successivo in Khrustciov in America (Roma, Editori Riuniti, 1959). L’interesse documentario del libro è notevole in quanto vi sono stati riportati i testi integrali di tutti i discorsi tenuti dal premier sovietico a Washington, New York, Hollywood, Los Angeles, San Francisco, Des Moines, Pittsburg e, al suo rientro in Unione Sovietica, a Mosca. Sui problemi concernenti i rapporti artistico-culturali tra i due paesi, si veda il testo del documento letto a San Francisco dall’addetto stampa della delegazione sovietica, Karamalov (pp. 235-238).
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"Annali della Facoltà di Scienze della Formazione" vol. 5, 2006 ©
(ESTRATTO)